L’ira Dei Vilipesi - Guido Pagliarino

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Guido Pagliarino

L’Ira Dei Vilipesi

Romanzo Storico

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Copyright di quest’e-book, © 2018, Guido Pagliarino - All rights reserved

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Il copyright, © 2017, del corrispondente Libro cartaceo “L’Ira Dei Vilipesi” appartiene fin a scadenza contrattuale alla Genesi Editrice, via Nuoro 3, 10137 Torino, sito http://www.genesi.org/

Le immagini di copertina dell’e-book Tektime e del relativo libro cartaceo Genesi Editrice sono realizzate elettronicamente dall'autore © Guido Pagliarino

I personaggi, le vicende, i nomi di persone, enti e ditte e le loro sedi che compaiono nel romanzo, a parte le figure e gli avvenimenti che la Storia ricorda, sono immaginari; eventuali riferimenti alla realtà passata e presente sono casuali e del tutto involontari.

Guido Pagliarino

L’Ira Dei Vilipesi

Romanzo Storico

Capitolo 1

Era stato fermato dagli agenti d’una camionetta di ronda della Pubblica Sicurezza nella tarda serata del 26 settembre 1943, indiziato dell’uccisione d'una certa Rosa Demaggi, bionda ossigenata avvenente, sulla trentina, prostituta benestante e borsanerista al dettaglio: l'uomo, forte accento partenopeo, viso squadrato, corporatura robusta, non grassa, dimostrava una quarantina d’anni, era alto un metro e settantotto, statura sopra la media in quei tempi di diffusa malnutrizione, era calvo nelle aree frontale e temporale e sopra il capo, e attorno alla nuca esibiva una bassa semicorona di capelli bruni tenuti cortissimi con sfumatura alta. Indossava una salopette e una camicia in flanella, entrambe di colore turchino, e calzava leggeri guanti in lana color grigioverde.

Presso la Buon Costume di Napoli era risaputo che Rosa Demaggi si prostituiva nel proprio domicilio, in piazzetta del Nilo, a uomini benestanti. Fino al 25 luglio aveva ceduto i propri favori anche a dirigenti fascisti e, dopo l’armistizio, caduta la città sotto il calcagno germanico, s’era concessa a ufficiali della Wehrmacht e della Gestapo. Per precedenti indagini svolte di concerto, si sapeva nelle sezioni Buoncostume e Illeciti Commerciali, questa creata dopo l’inizio del conflitto per combattere il mercato nero, che la Demaggi, fin dall’estate del '40, aveva chiesto a compenso, preferibilmente, generi alimentari, sigarette e liquori, per farne piccolo traffico a borsa nera; ed era noto ch’ella, ben presto, aveva allargato il giro con acquisti da grossisti legati alla camorra. Perciò le squadre di ronda avevano l’ordine di tenere d’occhio, con altre abitazioni, anche la sua; tuttavia con discrezione, a causa dei contatti erotici della Demaggi con ufficiali occupanti e considerando che, dopo il 25 luglio, quand’era stata sciolta l’OVRA

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Poco prima del fermo del sospettato, erano circa le 20 e 30 e non mancava che una mezz’ora al coprifuoco, transitando la camionetta della Polizia in piazzetta del Nilo, l’appuntato comandante aveva visto quell’individuo in abiti dimessi entrare senza suonare, per l’uscio lasciato accostato da qualcuno, nella casetta dove la donna viveva nell’unico appartamento al piano terra. Dando le spalle all’automezzo, l’uomo non s’era accorto del sopraggiungere della ronda. Superato l’ingresso, non aveva chiuso appieno la porta dietro di sé, ma l'aveva lasciata accostata. Il graduato aveva supposto che fosse implicato, come la Demaggi, nel mercato clandestino e avesse lasciato dischiuso per altri conniventi in arrivo: l’uscio non serrato rendeva improbabile trattarsi d’un cliente sessuale, senza contare l'abbigliamento da bassa manovalanza dell'uomo e le tariffe notoriamente elevate della prostituta. L’appuntato aveva ordinato al conducente di portarsi davanti alla casetta. Gli agenti erano scesi, a parte il guidatore, e s’erano introdotti nell’appartamento. L’individuo sospetto era stato sorpreso nell’ingresso, appena oltre l’uscio, in piedi accanto a Rosa Demaggi che, lamentandosi debolmente in stato di semi incoscienza, giaceva a terra con un ematoma insanguinato sulla nuca, conseguenza evidente d’un colpo contro una consolle, alla sinistra entrando, che presentava una macchia ematica. Rosa Demaggi era spirata pochi secondi dopo l’ingresso degli agenti. Ritenuto colpevole d’aver aggredito la donna, l’uomo in salopette era stato ammanettato. Il capo pattuglia gli aveva detto: “Ti sei introdotto con l’intenzione d’ucciderla e ti sono bastati pochissimi secondi per accopparla: era nell’ingresso ad attenderti, si fidava di te perché ti aveva lasciato aperto. Tu invece, inaspettatamente, senza darle il tempo di fuggire le hai sbattuto forte la testa contro il mobile per ammazzarla. Contavi di filartela subito dopo, infatti non avevi chiuso la porta entrando, per non perdere tempo nel riaprirla uscendo: te la saresti tirata dietro non appena fuori e tanti saluti, chi sa chi e quando avrebbe trovato il cadavere. Non avevi supposto che saremmo giunti noi: volevi far pensare a un incidente, ma ti è andata male.” Il graduato aveva supposto che l’individuo avesse ucciso con premeditazione per ragioni legate al mercato nero, forse per proprio diretto interesse, forse su incarico di terzi. Che si trattasse d’omicidio volontario era sostenuto dal fatto che l’uomo calzava guanti in lana nonostante la stagione ancora tiepida: al fine di non lasciare impronte, era stato spontaneo pensare. Sul momento il sospettato, in pieno rimescolamento mentale per l’inaspettato intervento degli agenti, non aveva trovato cosa rispondere. Poiché da vicino si poteva ben osservare che non solo portava abiti da manovale, ma ch’essi erano logori e piuttosto sporchi, l’appuntato s’era convinto che non potesse trattarsi d’un cliente sessuale della donna, e d’altronde l’uomo non aveva su di sé denaro, come s’era appurato frugandolo. Non aveva neppure carta d’identità, ma una patente di guida sì, da cui risultava essere nato a Napoli 42 anni prima, di abitare in vicolo Santa Luciella e di chiamarsi Gennaro Esposito, nome e cognome peraltro comunissimi in Campania e soprattutto a Napoli, che avrebbero potuto essere falsi, così come il permesso di guida; era infatti noto in Questura che la delinquenza, e in particolare la camorra, s’avvaleva di tipografi abilissimi nelle falsificazioni. Il capo ronda non aveva dato gran peso al documento.

Aveva chiamato la sala operativa della Centrale, attraverso la radio della camionetta, e riferito l'accaduto. La Sezione Delitti di Sangue aveva avvertito per telefono il centralino dell’obitorio, chiedendo di mandare a casa della morta, per i primi accertamenti, l’anatomopatologo in servizio, che per quel turno era il dottor Giovampaolo Palombella, un sessantenne dai lunghi e folti capelli grigi, tenuti regolarmente spettinati, alto, segaligno e, forse a causa del suo ultratrentennale chinarsi sui cadaveri da sezionare, un po’ curvo. Nello stesso tempo era stato inviato a casa della vittima un maresciallo maggiore, tal Bruno Branduardi, uomo basso, obeso e tranquillo prossimo alla pensione, perché ispezionasse, ascoltasse gli agenti della ronda e il medico e annotasse tutto sul proprio taccuino per riferire, al ritorno, al superiore di turno.

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