Zeus si alzò e lo guardò di traverso e le ginocchia di Hermes dolevano per la sofferenza del proprio orgoglio mentre lui continuava. "Hai portato Pegaso nel regno mortale senza permesso e gli hai permesso di vagare per i suoi capricci. Hai nascosto Melancton e non divulgherò tali informazioni poiché anch'io sono dispiaciuto per il trattamento della ninfa da parte di Apollo. Tuttavia, la tua continua associazione con l'odioso gemello di Ariston nella messa al bando ordinata da tuo figlio mi dà da pensare. Posso capire quando vai a trovare Pan, ma il resto?"
"Zeus, padre". Hermes si morse la lingua per non farsi scappare una risposta e peggiorare le cose. E se suo padre gli proibisse di parlare con uno dei Satiri? Lui sarebbe costretto a disobbedire. Si preoccupava troppo per loro. Erano la famiglia di Pan e come tale un'estensione della sua. "Posso spiegare …"
"Puoi?" Disse Zeus in tono troncato. "Non ce n'è bisogno. Nulla di ciò che dico ti impedirà rincontrarli. Ma comprendi questo, Hermes. Non farai nulla per mettere lo syrinx nelle mani di chiunque non lo rivendichi da solo. Se lo fai, sarai punito. Capisci?"
"Sì capisco".
* * * * *
"Dove stai andando?" Hybris lo afferrò per un braccio, per fermarlo. Per una volta sarebbe stato bello se lui avesse rallentato e avesse pensato prima di agire. Si era precipitato fuori dal tempio davanti a lei, la furia lo circondava come una nuvola. Lei aveva dovuto correre dietro a lui ed era fortunata ad avere un perfetto equilibrio sui suoi tacchi. Zeus non prendeva con gentilezza l'uso dei poteri nella sua sala del trono, Hermes escluso. Tuttavia, l'eccezione poteva essere attribuita al fatto che Hermes si era mosso troppo in fretta per farsi abbattere.
"Via", lui scattò.
Hybris lo conosceva abbastanza bene da sospettare che avesse già un piano B da attuare se Zeus avesse rifiutato la sua richiesta. Hermes non accettava mai un no come risposta. Per lui, "no", esisteva come ostacolo da aggirare in qualche modo. Era sempre stato così dannatamente intelligente. A volte le mancava, ma non in quel momento. Apollo si era adirato facilmente negli ultimi tempi e si scagliava sempre contro di lui. Iniziare qualcosa con lui avrebbe richiesto pazienza e cautela.
Chiaramente, senza il suo aiuto e un attento piano, Hermes avrebbe causato la morte della ninfa e del satiro e lui stesso sarebbe stato espulso dall'Olimpo, se non qualcosa di peggio. Il suo obiettivo era quello di discutere con lui, farlo ragionare e poi allontanarsi di nuovo. Ma che tipo di dea sarebbe stata se lo avesse lasciato incastrato in uno dei suoi schemi cervellotici?
"Dove stai andando?" ripeté lei.
"A parlare con Artemide e poi provare a capire come salvare Daphne in modo che io possa portarla a Melancton senza infrangere i termini del suo accordo". Hermes liberò il braccio dalla sua presa e proseguì nel suo cammino. Fedele alla sua parola, si diresse verso il tempio della dea della caccia. Hermes viaggiava raramente a piedi nell'Olimpo. Le sue ali e la sua velocità erano diventate una seconda natura per lui. Il fatto di calpestare i sentieri di pietra dimostrava semplicemente la sua determinazione, o forse guadagnare un po’ di tempo per elaborare un piano adeguato.
"Di cosa devi parlare con Artemide?" Il suo tono si fece più acuto del previsto mentre si affrettava a seguirlo. Lei digrignò i denti, rendendosi conto di essere sembrata troppo interessata alla natura del suo coinvolgimento con Artemide. Si erano separati molto tempo fa, entrambi avevano avuto altri amanti da allora. Non c’era motivo di essere gelosa.
"Non per quello che pensi tu".
Hybris emise un lieve respiro di sollievo. Era una delle poche Dee dell’Olimpo con cui lui aveva dormito ed era una dea minore nata da altre divinità minori di scarsa importanza o relazione diretta con lui. Artemide condivideva un genitore con Hermes. Non era strano nel loro genere, ma lei ricordava la sua reazione inorridita verso i miti umani che li mostravano in accoppiamento tra i membri della famiglia.
"Non sono gelosa, quindi le tue implicazioni sono ingiustificate. Sono superore ad una tale banalità". Una bugia, odiava ammetterlo a se stessa. Aveva bruciato villaggi sulla Terra a causa della sua gelosia in passato. L'arroganza non era la sua unica colpa. C'erano la violenza, l'insolenza, l'orgoglio, il complesso di superiorità e praticamente qualsiasi cosa in grado di provocare allo stesso modo umani e divinità per iniziare una guerra, una discussione o commettere un omicidio. Non le piacevano i suoi poteri, ma i Destini l'avevano scelta per sopportarne il peso. Per fortuna, aveva imparato a smorzare la sua influenza per la maggior parte del tempo, ma non quando sarebbe contato veramente, come scusarsi con coloro che amava.
Faceva schifo. La solitudine le aveva impedito di ferire coloro a cui teneva nei primi anni e ultimamente era rimasta lontana per la vergogna, che non riusciva ad ammettere. Era diventato il modo più sicuro per evitare di danneggiarli con la sua stessa presenza nelle loro vite. Aveva interrotto la connessione con Pan prima che potesse formarsi e sperava di salvarlo dall'inevitabile dolore di amarla. Hermes, lei sapeva di averlo devastato, ma non c'era stato un altro modo per risparmiare Pan. Il sacrificio faceva sempre tanto male quanto l’aiuto.
"Non mi sognerei di accusarti di qualcosa di così vicino alla gelosia, mia cara", lui disse con finta dolcezza mentre spalancava le pesanti porte del tempio di Artemide, senza chiedere permesso alla dea che cercava all'interno. Mentre il design originale dei templi dell'Olimpo era aperto sui lati, la maggior parte delle divinità principali avevano iniziato a racchiudere le loro mura e costruire porte. Perfino gli dei godevano della loro privacy.
Artemide era adagiata su una soffice coperta di pelliccia, scrutando nella pozza di riflessione nel cuore del suo tempio che era solita usare per spiare gli umani durante le ore notturne in ogni parte del globo. Il suo hobby preferito. Accanto a lei, un centauro dai capelli ramati tendeva un piatto d'argento condito con fragole ricoperte di cioccolato per la sua padrona.
Non aspettando l’invito, Hermes si addentrò nel tempio. L'uomo non mostrò buone maniere o decenza. Non bussò nemmeno.
"Potresti essere meno rude?" Sussurrò Hybris. Certo, lei non era favorevole ai convenevoli dal momento che faceva ciò che voleva, quindi lo seguì.
Lui la sentì e ridacchiò piano. "Sì, sì. Sì, posso. Guarda questo".
Scrollando le spalle, lei continuò dietro di lui, curiosa di sapere cosa avesse architettato in quella sua testa e perché pensasse che Artemide sarebbe stata di grande aiuto.
Al momento dell'intrusione, il centauro lasciò cadere il piatto, spargendo fragole nella pozza di riflessione mentre inciampava sui suoi quattro piedi, tirando un arco e una freccia dalla faretra sulla sua schiena. I ciuffi di capelli sui gomiti corrispondevano alla lunga treccia rossastra che pendeva lungo la schiena. Cicatrici increspate incrociavano il suo corpo di cavallo marrone dorato, lasciate dagli umani che avevano tentato di ucciderlo. Gli umani erano riusciti ad afferrarlo ma Artemide l’aveva salvato e aveva punito gli umani. Hybris aveva sempre rispettato la dea per aver salvato il centauro, anche se gli aveva regalato l'ambrosia per renderlo il suo servitore eterno. Non sembrava preoccuparsene però.
Artemide strillò mentre le fragole la colpirono e la maggior parte schizzò nell’acqua. "Per amore di Ade, Xylon, ti ho detto mille volte di non far cadere il cibo nella mia piscina. Frigge e diventa nebulosa. Ariston e Lily lo stavano facendo di nuovo nel fiume. Oh". Artemide li notò finalmente. "Non vi ho sentito entrare". La porta era stata mostruosamente rumorosa. Lei era troppo concentrata sul suo atto di voyeurismo per notare gli intrusi.