No, mai: ho letto il nome sulla carta.
Senta il desiderio di portargli la sua; voglio dire la sua carta di visita. Ci venga anche Lei, domattina.
Io? Le pare?
Lei, sì, Lei. Saremo una ventina di persone; le Berti, ch'Ella conosce; la contessa Quarneri, col sèguito; il commendator Matteini; Terenzio Spazzòli, detto l'impareggiabile, ed altri che non ricordo, ma tra i quali non vanno dimenticati i ragazzi della signora Berti. Hanno poi promesso di accompagnarci la signora sindachessa e la signora segretaria comunale, che sono, vorrà convenirne, le due prime dame di Corsenna, per diritto d'uffizio. Condurremo anche Buci, qui presente ed accettante. Non si decide?
Oh, non sarebbe per Buci, se mai; nè per tante altre persone che mi ha nominate.
Volevo ben dire!gridò ella battendo le palme.Non sarebbe stato cavaliere. Parlando sul serio, signor Morelli, veda un po' d'esser buono. Tutte queste signore villeggianti di Corsenna dicono che Lei vive così appartato, perchè non ha trovata una compagnia abbastanza piacevole. Smentisca la calunnia, e venga.
Signorina non per la calunnia, che si chiarirebbe tale da sè, ma per non rispondere con un mal garbo alla sua gentilezza, verrò. I posteri non lo crederanno, ma infine.
I posteri non lo sapranno neanche;rispose ella, entrando con gioconda padronanza nella mia celia.E poi, chi vuole occuparsi di loro?
In questi discorsi eravamo giunti al viale dei pioppi. La signorina Wilson, venuta su da un'altra parte, non lo aveva ancora veduto. Ne fu tutta ammirata, innamorata, rapita al settimo cielo. Sincera, vivace, tutta di primo impeto, aveva facili le espansioni, come pronta la lingua. Di quella maravigliosa piantata di pioppi volle fare uno schizzo nel piccolo albo che portava sempre con sè. Furono pochi segni di matita, ma sicuri ed efficaci. Gran diavola, l'ho già detto e lo ripeterò ancora Dio sa quante volte, gran diavola di ragazza! Osservavo, intanto; e com'ella ebbe finito, lodai, non solamente per obbligo di cortesia, ma ancora per sentimento di verità, ch'ella doveva pur riconoscere.
No, non mi lodi;rispose ella tuttavia;come disegno non val niente. È un ricordo, e come ricordo può andare. Vede intanto, signor Morelli, che io non perdo sempre il mio tempo? Se una cosa è bella, se franca la spesa, ne godo; se è sciocca, la lascio stare.
Amen;fui per rispondere; ma mi contentai di dirlo col gesto.
Mezz'ora dopo eravamo al principio del paese, dov'io presi commiato ed ora per il giorno seguente. Giunto a casa, ho finita la lettera per Filippo Ferri, ed ho tirato giù questo passio. Anch'io per ricordo.
Come ricordo può andare e restare. Che perditempi, dopo tutto!
V
All'altra bellissima ottava
17 luglio 18
Sì, diciamolo pure, che perditempi! E vanno proprio notati nel memoriale. Questo, davvero, meglio delle mie lettere a Filippo Ferri, vuol riuscire il "Giornale di Corsenna".
Ieri mattina alle sei, puntuale come un creditore, mi sono presentato in armi sulla piazza. Avrei voluto fare più nobili apparecchi di vestiario; ma poi ho pensato che si andava in montagna, che ero io l'invitato e non il mio abito, che finalmente il mio tutto vestito di tela era decentissimo, e il far novità sarebbe parso un atto di debolezza. Così non ho mutato niente del mio fornimento; solo v'ho aggiunto un bel fiocco di cravatta a capi svolazzanti, che facesse un pochino di spicco, dando tono e grazia a tutto il restante. Sciocchezze! ma chi non ne fa non ne conta.
C'erano le Berti, mamma, tre figliuole e due ragazzi, come a dire la chioccia e i pulcini. C'era la segretaria comunale, ma senza la sindachessa, che non aveva potuto muoversi da casa, essendo indisposto il primo magistrato di Corsenna. Si prevedeva, del resto; non già che fosse indisposto il sindaco, ma che la sindachessa, dopo aver detto di sì, facesse di no: era quello il suo modo di affermare la propria importanza. Giungevano in quel punto le Wilson, madre e figliuola; si faceva aspettare mezz'ora buona la contessa Quarneri, luminosa bellezza che non era mai pronta, ed aveva bisogno di comparire ultima sull'orizzonte, da quell'astro che era, e accompagnata dai suoi satelliti, come è costume degli astri. Appena giunta lei, ci mettemmo in cammino. Ricorderò, per amor d'esattezza, il commendator Matteini, un gentiluomo che ha conservato per trentacinque anni le patrie ipoteche, ed ora con eguale pertinacia conserva le sue fedine bionde, facendo il bello con la modesta gravità dell'uomo che non vuol dare importanza soverchia a questo dono di natura. Brav'uomo, del resto, e niente noioso, neanche quando parla del tempo ch'egli era di posto a Bologna; la "città dell'anima" com'egli la chiama, accompagnando la frase con una certa allargata di mantici e con certi stravolgimenti d'occhi, da lasciar balenare Dio sa quali ipoteche; radiate, speriamo, radiate oramai.
I vecchi son giovani, viva la faccia loro; ma chi sarà vecchio, se non ci si mettono i giovani? Ecco appunto Terenzio Spazzòli, che tiene nobilmente il suo posto di vecchio, senza averne l'età; Terenzio Spazzòli, senz'altri titoli, nè personali, nè ereditarii. Ma quello ha l'aria d'esser tutto; indispensabile in società, gran velocipedista nel cospetto delle tribune, gran guidatore di cotillons nelle feste, gran mastro di campo in tutte le giostre, socio nato di tutti i clubs che Dio misericordioso permette, di tutte le brigate "sportive" che sanno architettare e favorire le donne, queste graziose emulatrici della onnipotenza divina. Severo nel vestire, inappuntabile, inimitabile, impareggiabile, come lo ha battezzato la signorina Wilson; angoloso, bislungo e magro, ma adatto come un attaccapanni a tutte le mode; parco di parole e di gesti; un po' can barbone all'aspetto. Ha intera la barba, di fatti, ma rada, corta intorno alle guance, solamente più lunga e appuntata alla spagnuola sul mento; barba nera, aggiungo, che dà risalto ai denti bianchissimi, spesso e volentieri in mostra, come quelli di Buci. Anch'egli ha questo modo di ridere, a denti stretti, senza sonorità, senza spruzzi, manco male; e di ciò gli va data gran lode.
Mi fanno tutti di gran cortesie, non c'è che dire. La signora Berti e la signora Wilson, due mamme, mi prendono in mezzo, dopo che tutti gli altri mi hanno salutato; il commendator Matteini, con benevolenza tranquilla di capo d'ufficio in vacanza; Terenzio Spazzòli con gravità contegnosa, che potrebb'essere timidezza ed è forse degnazione; i tre satelliti della contessa Quarneri con pronta ed eguale affabilità, dopo che l'astro luminoso m'ha involto benignamente in un effluvio di pelle di Spagna, in una musica di paroline soavi, in un barbaglio di raggi e di sorrisi. Bravi, ragazzi; così va bene, senza dissonanze tra voi e senza sospetti per me. Ma dove mi sono imbarcato! Non vedo neanche il mio Buci, buon amico personale, e diciamo pure politico.
Gliel'avevo fatto sperare;trovò modo di dirmi la signorina Wilson, che pareva indovinare la causa della mia tristezza.Ma il suo padrone è venuto iersera a ridomandarlo. Povero cane! non voleva spiccarsi da noi, temendo forse di buscarle. Ho ottenuto dal suo padrone che non lo bastonasse; quanto a lui, l'ho fatto andar più contento, promettendogli tutti gli avanzi della grande giornata.
Gli avanzi promettono d'esser vistosi, perchè gli apparecchi son molti. C'è tutta una batteria di ceste, di canestri, di sporte, a cui bastano appena due muli e un somarello, fissati da Terenzio Spazzòli, nostro duca e signore. Come sempre avviene, l'asino è il più carico; del che non si duole. Con quei suoi passi corti e veloci, mossi a contrattempo, va sempre avanti a tutti, povero ciuco, e le sue grandi orecchie tese danno il buon esempio ai membruti compagni. Saltellano intanto le some; si sentono tintinnire le latte delle conserve, acciottolar le stoviglie, sgrigiolare gl'involti del pane, delle carni arrostite, lesse, salate. Fortuna che le bottiglie sono diligentemente impagliate, e i fiaschi bene affondati in grandi ceste di fieno. C'è un canestro che Terenzio Spazzòli ha fatto caricare con maggior cura; e non si sa che cosa ci sia dentro, e tutti muoiono dal desiderio di saperlo; ma l'inflessibile condottiero non si lascia smuovere da domande nè da supplicazioni; mostra i denti con una autorità inesorabile. Non vuole nemmeno che si parli di un altro carico misterioso, che dovrebb'essere la sua improvvisata più grande. È il più voluminoso, di fatti.