Anton Barrili - Il ritratto del diavolo стр 10.

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Madonna, non so se sarà abbastanza piccolo per il vostro ditino d'angiola. Ma, se voi non lo sgradite

Madonna non rispose nè sì, nè no. Si era lasciata prender la mano; si lasciò mettere in dito l'anello.

Il giovine innamorato cadde in ginocchio e baciò la mano della sua fidanzata. Indi, rialzatosi, le si accostò peritoso o guardandola con occhi ardenti d'amore le bisbigliò all'orecchio:

Son più felice di un re.

Mastro Jacopo si era allontanato, per non farci la figura del terzo incomodo. Le confidenti espansioni di due cuori innamorati non voglion testimoni, neanche quando essi siano gli autori della vostra felicità.

Era già l'ora di cena, ma Jacopo di Casentino non parlava ancora di mettersi a tavola, il vecchio pittore aspettava qualcheduno.

Poco stante si udì un rumore di passi nella camera attigua, e Tuccio di Credi apparve sulla soglia. Il povero Tuccio aveva per solito una faccia rabbuiata, ma quel giorno aveva senz'altro una cera da funerale.

Maestro,diss'egli,è qui messer Luca Spinelli.

Ah, bene, fallo entrare;gridò mastro Jacopo.Ragazzi miei, prima di tornare a casa ero passato da Luca Spinelli, mio ottimo amico, e lo avevo pregato di volere essere dei nostri. In questo giorno così lieto, per voi, i due babbi debbono essere uniti, non vi pare? Peccato,soggiunse mentalmente, reprimendo un sospiro,che non ci siano le mamme!

Tuccio di Credi, che precedeva di pochi passi il nuovo venuto, si tirò da un lato per lasciarlo passare. Il vecchio fiorentino entrò, strinse la mano che gli offriva il pittore, e andò a baciare in fronte la sua futura nuora. Se aveste veduto in quel punto il povero Tuccio di Credi!

Messer Luca,disse Jacopo di Casentino,quello d'oggi non è un invito in pompa magna. Si faranno quattro chiacchiere tra noi, mentre i nostri ragazzi ne faranno mille tra loro, senza dar retta alle nostre. Ma questi sponsali vogliono essere celebrati con una festa di famiglia, che faremo domenica, se vi piace. Tuccio di Credi avvertirà intanto i suoi compagni di bottega, i quali saranno padroni di spargere la notizia ai quattro punti cardinali.

Tuccio di Credi rispose con un cenno d'assentimento a quell'ultima parte del discorso di mastro Jacopo.

Mi congratulo con voi, maestro,disse egli,e mi congratulo con gli sposi. Quando si faranno le nozze?

Tra due mesi,rispose mastro Jacopo,quando il vostro compagno avrà condotto a termine un'opera testè incominciata nel Duomo vecchio. Desidero che impariate da ciò, ragazzi; desidero che impariate a lavorare di buona voglia. Spinello Spinelli è l'ultimo venuto, ed eccolo già molto innanzi a tutti voi. Non ve l'abbiate per male.

Perchè dovremmo avercelo a male?chiese Tuccio di Credi, stringendosi nelle spalle con aria di profonda noncuranza.Chi è da più degli altri ha ragione di stimarsi fortunato. A noi basterà che voi non ci togliate la vostra benevolenza.

L'avete, andate là;rispose mastro Jacopo, col suo piglio tra il burbero e il faceto;sebbene qualche volta mi facciate disperare, da quei ragazzacci che siete. A domenica, dunque, e preparate le vostre più belle canzoni. Si starà allegri.

Tuccio di Credi salutò gli astanti e se ne andò verso l'uscio.

Quel giorno Tuccio di Credi era rimasto l'ultimo in bottega. E a lui era toccato di ricevere Luca Spinelli, venuto a quell'ora insolita e con aria misteriosa a cercare mastro Jacopo. A lui, proprio a lui, era toccato di aver le primizie di quell'annunzio matrimoniale, altrettanto doloroso quanto inaspettato.

Tuccio di Credi non sapeva che pensare; non sapeva che dire; aveva perduta la testa. Poco mancò che dimenticasse perfino di chiudere la bottega. Escito di là, andò macchinalmente per le vie d'Arezzo, fino all'osteria del Greco, dove c'era la combibbia serale dei garzoni di mastro Jacopo. Aveva una faccia così scura, che i suoi compagni lasciarono tosto di ridere, per domandargli se si sentisse male.

Vuoi un confortino? Un cordiale? Un lattovaro?gli disse il Chiacchera.Prendi questo; è Montepulciano, e il Greco giura di non averlo annacquato.

Tuccio di Credi ricusò brevemente, col gesto, il bicchiere che gli offriva il Chiacchiera.

Sapete la novella?disse egli.

Quale novella?chiese Cristofano Granacci.

Se non la spifferi, come possiamo saperla?soggiunse il

Chiacchiera.

Tuccio di Credi rimase un momento sopra di sè, come se volesse raccogliere le proprie forze; indi, con voce sepolcrale, diede il triste annunzio ai compagni:

Spinello Spinelli, l'ultimo venuto a bottega, sposa la figlia di mastro Jacopo.

Un grido di meraviglia accolse le parole di Tuccio.

Come lo sai?domandò il Chiacchiera.

Lo so da mastro Jacopo, che c'invita per domenica alla festa degli sponsali e ci raccomanda di preparare le nostre più belle canzoni.

Oh, le avrà!disse il Chiacchiera.Ti assicuro io che le avrà. Un così bel matrimonio! Ci vorranno anche i giullari!

Già,osservò tranquillamente Parri della Quercia,dovevamo immaginarcelo.

Immaginarcelo! E perchè?disse Tuccio di Credi.

Perchè era facile di scorgere che mastro Jacopo vedeva assai di buon occhio Spinello Spinelli.

Come scolaro, non nego;ribattè Tuccio di Credi.Mastro Jacopo ha le sue debolezze, come le ha avute sant'Antonio. Ma neanche sant'Antonio ha portato il suo protetto in paradiso. E non era da immaginare che mastro Jacopo dovesse dare sua figlia a Spinello Spinelli. Sapete che già gliel'avevano domandata parecchi: tra gli altri il Buontalenti, che è un ricco sfondato.

È vero;disse Parri della Quercia;ma tu ricorderai per qual ragione mastro Jacopo non gliel'ha voluta dare. Egli ha sempre detto che la sua Fiordalisa avrebbe sposato uno dell'arte sua. Spinello Spinelli è un pittore; dunque.

Adagio, Biagio!entrò a dire il Chiacchiera.Spinello Spinelli è un mastro Imbratta, finora, un fattore come noi altri, e non può neanche misurarsi con te, Parri della Quercia, che hai già fatto un trittico a tempera, e n'hai avuto lode dagli intendenti.

Parri della Quercia sorrise e ringraziò con un cenno del capo.

Ma infine,diss'egli di rimando,se non ha anche dipinto a tempera, non si può tuttavia bollarlo col titolo di mastro Imbratta. Rammentate i suoi tocchi in penna.

Ah sì, bella forza!gridò il Chiacchiera.Come se quella fosse arte! Il pittore s'ha a vederlo sulla tavola.

O sul muro;soggiunse Parri.Spinello Spinelli può dirsi oramai un frescante. Mastro Jacopo gli ha dato a fare qualche cosa sulle sue ultime composizioni.

Sì, gli ha dato da calcare i suoi cartoni sul muro e da mettere il colore sui fondi.

Ahimè, dell'altro ancora, dell'altro;entrò a dire Tuccio di Credi.

Dell'altro? Che cosa?

Gli ha dato da dipingere un'intera medaglia nel Duomo vecchio. Mi capite? un'intera medaglia. E Spinello ha ideata lui la composizione, ha fatto lui il cartone, tutto lui! Ma non potrebbe anche darsi che il maestro avesse ritoccato il disegno, data l'intonazione del bozzetto e via via?

Non c'è dubbio;esclamò il Chiacchiera.E fors'anche avrà ideata la composizione.

È possibile,ripigliò Tuccio di Credi.Tutto si può credere,-perchè il lavoro si fa in Duomo, sulle impalcature, dove il maestro non ha più voluto vedere nessuno di noi.

Gatta ci cova!sentenziò Cristofano Granacci.Intanto eccolo pittore. E che lavoro è, quello che fa, il sornione?

Un San Donato che ammazza il serpente con una benedizione;rispose

Tuccio di Credi.

Tu l'hai veduto?

Io no, l'ho risaputo dallo scaccino della chiesa. Ma su questo non ho a dirvi di più;soggiunse Tuccio, già quasi pentito di aver toccato quel tasto.

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