Anton Barrili - Castel Gavone: Storia del secolo XV стр 14.

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In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.

Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.

Cavalli!soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.

Cavalli, sicuro;disse di rimando Tommaso;e poi?

Non hai indovinato? Son essi.

Essi? Pronome, e nient'altro;ripigliò il Sangonetto;io non t'intendo.

Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.

I cavalieri di questa mane;aggiunse egli poscia;il conte d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.

Ah, ah!sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull'orma.Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.

Ma! che ne so io?rispose Giacomo Pico.D'una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore.aggiunse con accento di profonda amarezza.Seguimi; or ora vedrai.

E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.

Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.

A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d'un colpo.

La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.

Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.

Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.

Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con queste parole:

Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio?

CAPITOLO IV

Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro Bernardo la scrima.

All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva afferrare le redini del suo palafreno.

Senonchè, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio. O piuttosto, senza andare a scomodare gli Dei dell'Olimpo, che dormono da mille cinquecent'anni il gran sonno, è da credere che messer Pietro fosse di animo pronto a vedere per ogni lato le cose, come audace di mano ad operarle. E in quel punto egli certamente pensò che quei due sopraggiunti non erano assassini di strada, che alla più trista si era a numero pari, e che, finalmente, in paese nuovo e nemico, la prudenza non era mai troppa, nè mai gli avrebbe nociuto un pochino di calma. Dopo tutto, che ne sapeva egli? Poteva anch'essere usanza patriarcale di quei popoli, di trattare con tanta dimestichezza la gente.

E messer Pietro ristette, spianò le sopracciglia, che s'erano a tutta prima aggrondate; fe' un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo, che egli colla coda dell'occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:

Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son tutto orecchi ad udirvi.

Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa. Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui due piedi, senza aver meditata la possibilità d'una conversazione tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non averci pensato prima, uscì in questa dimanda:

Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere di trattenervi?

Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.

Che dite mai?ripigliò, col medesimo accento di prima.È luogo stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.

Ah!sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia,E quando si faranno le nozze?

Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.

Messere,disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo riso,la notizia si è sparsa, non c'è più verso di tenerla celata. L'oste dell'Altino ha cantato.

L'altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per via e lo interrogava in tal guisa.

Via, per l'andata, poteva correre; pel ritorno, non già!rispose egli, facendosi grave.

Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:

Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al primo che capita.

Avete fatto il conto senza di me!soggiunse Giacomo Pico, digrignando i denti, e facendo l'atto di afferrare da capo le redini.

Giù quelle mani!tuonò messer Pietro, in quella che facea dare indietro due passi al suo palafreno.E spulezzami tosto, o ch'io lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano!

Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all'udire quelle superbe parole, ma non diede già indietro d'un passo. Incrociò in quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare dal consiglio d'un nemico quel che c'era di buono; indi, misurando ad una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte, così rimbeccò il suo avversario:

Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci d'un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe allora la differenza tra voi, conte di Osasco, e il più vile de' vostri vassalli? e quale rimarrebbe la vostra fama agli occhi dalla donna che amate?

Conte di Osasco!ripetè messer Pietro, voltandosi al Picchiasodo.Ah, mi ricordo;soggiunse a bassa voce,lo sono, a quel che pare, e non posso disdirmi.

Indi, rivolto il discorso a Giacomo Pico, gli chiese, con quel suo piglio sarcastico:

E chi sei tu? Forse il duca Namo di Baviera, tornato tra i vivi? O forse Guerrino il Meschino, cercator d'avventure?

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