Ciò che gli aveva permesso di sopportare tutto questo – tutti quegli anni a prendersi cura del gregge, a fare da servo a suo padre e ai suoi fratelli più grandi, ad essere quello che riceveva le minori attenzioni e il maggior carico di lavoro – era l’idea che un giorno avrebbe abbandonato quel luogo. Un giorno, quando l’Argento fosse giunto, lui avrebbe sorpreso tutti quelli che l’avevano sottovalutato e sarebbe stato selezionato. Con un unico repentino gesto sarebbe salito sulla loro carrozza e avrebbe detto addio a tutto questo.
Il padre di Thor, ovviamente, non l’aveva mai preso in considerazione come possibile candidato per la Legione; a dire il vero non l’aveva mai considerato come possibile candidato per alcunché. Al contrario, suo padre riservava tutto il suo affetto e le sue attenzioni ai tre fratelli maggiori di Thor. Il primogenito aveva diciannove anni e gli altri venivano in successione con solo un anno di differenza, mentre Thor era ben tre anni più giovane di loro. Probabilmente perché più vicini di età tra di loro, o forse perché si assomigliavano ed erano tutti completamente diversi da Thor, i tre stavano sempre insieme, a malapena consapevoli dell’esistenza del fratello minore.
Quel che era peggio, erano più alti e robusti e forti di lui, e Thor, che sapeva di non essere basso, ciononostante si sentiva piccolo accanto a loro: aveva la sensazione che i muscoli delle sue gambe fossero deboli in confronto alle loro, che sembravano barili di quercia. Il padre non faceva niente per bilanciare la situazione, niente di ciò, piuttosto sembrava goderne lasciando che Thor si occupasse delle pecore e affilasse le armi, mentre i suoi fratelli potevano allenarsi. Non era mai stato espressamente detto, ma era implicito che Thor avrebbe trascorso tutta la sua vita dietro le quinte, costretto a guardare i suoi fratelli che compivano grandi imprese. Il suo destino, se fosse stato per suo padre e i suoi fratelli, era di rimanere lì, inghiottito da quel villaggio, a dare alla propria famiglia il sostegno che richiedeva.
Ancora peggiore era il fatto che Thor percepiva che i suoi fratelli, paradossalmente, si sentivano minacciati da lui, forse addirittura lo odiavano. Thor poteva scorgerlo in ogni loro sguardo, in ogni gesto. Non capiva come, ma era in grado di suscitare in loro una sorta di paura o gelosia. Forse perché era diverso da loro, non gli assomigliava e non parlava con i loro vezzi; non si vestiva neanche come loro, dato che il padre riservava il meglio – indumenti viola e scarlatti, armi dorate - per i suoi fratelli, mentre a Thor venivano lasciati gli stracci più grezzi.
Ciononostante, Thor faceva del suo meglio con ciò che aveva, trovando un modo per rendere adatti i suoi abiti: legava la tunica con una fascia attorno alla vita e, ora che era giunta l’estate, aveva tagliato le maniche cosicché le sue braccia sode potessero essere carezzate dall’aria. A questo si abbinava un paio di pantaloni di lino sgualciti, l’unico paio che aveva, e stivali fabbricati con la pelle più scadente e stretti agli stinchi. Non avevano niente a che vedere con la pelle di quelli indossati dai suoi fratelli, ma lui li faceva andare bene. Indossava la tipica uniforme da pastore, ma ne mostrava a malapena l’atteggiamento. Thor era alto e slanciato, la mascella fiera, il mento nobile, zigomi alti e occhi grigi, come un guerriero fuori posto. I suoi capelli dritti e castani formavano delle onde sulla testa, terminando giusto dietro le orecchie, e i suoi occhi luccicavano come fanno certi pesci quando guizzano sotto la luce.
I fratelli di Thor avrebbero avuto il permesso di dormire quella mattina, avrebbero ricevuto un pasto sostanzioso e sarebbero stati mandati alla selezione con le armi più belle e la benedizione di loro padre, mentre a lui non sarebbe stato neanche consentito di partecipare. Aveva tentato di sollevare il discorso una volta con suo padre. Non era andata bene. Il padre aveva sommariamente messo fine alla conversazione, e lui non ci aveva più riprovato. Non era giusto.
Thor era determinato a rifiutare il destino che suo padre aveva definito per lui: non appena la carrozza reale fosse comparsa, sarebbe corso di nuovo a casa, avrebbe affrontato suo padre e, che gli piacesse o no, si sarebbe presentato agli Uomini del Re. Avrebbe partecipato alla selezione come tutti gli altri. Suo padre non poteva fermarlo. Avvertì un nodo nello stomaco al pensiero.
Il primo sole saliva, e quando anche il secondo sole iniziò a sorgere, nel suo bagliore verde menta, aggiungendo un strato di luce nuova al cielo viola, Thor li scorse.
Rimase lì in piedi, con la pelle d’oca, completamente elettrizzato. Laggiù, all’orizzonte, avanzava la sagoma sfuocata di una carrozza trainata da un cavallo, le ruote che sollevavano polvere al cielo. Il battito del suo cuore accelerò quando un’altra comparve, poi un’altra ancora. Anche da laggiù le carrozze dorate scintillavano alla luce dei soli, come pesci argentati che guizzano dall’acqua.
Fino a quel momento ne aveva contate dodici: non poteva aspettare oltre. Con il cuore che gli martellava nel petto, dimenticando il gregge per la prima volta nella sua vita, Thor si voltò e si buttò a capofitto giù dalla collina, determinato a non fermarsi per niente al mondo, non prima di essersi presentato.
*
Thor quasi non si fermò neppure per prendere fiato, mentre scendeva rapido dalla collina, attraverso gli alberi, incurante dei rami che lo graffiavano. Raggiunse una radura e vide il suo villaggio distendersi sotto di lui: un sonnacchioso paese di campagna, pieno di storia, con case di argilla bianca dai tetti di paglia. Non vivevano che qualche dozzina di famiglie lì. Il fumo saliva dai comignoli, rivelando che molti erano già in piedi per preparare la colazione. Era un luogo idilliaco situato ad una giornata di cammino dalla Corte del Re, la giusta distanza per scoraggiare i passanti. Semplicemente un altro villaggio di contadini al confine dell’Anello, un altro ingranaggio nella ruota del Regno Occidentale.
Thor si lanciò veloce a coprire l’ultimo tratto, fino alla piazza del villaggio, sollevando la polvere nella foga della sua corsa. Polli e cani fuggivano dalla sua traiettoria e una vecchia donna, rannicchiata davanti ad un pentolone di acqua bollente fuori dalla propria casa, gli sibilò contro.
“Rallenta, ragazzo!” gridò stridula quando lui le passò accanto, gettando della terra sul fuoco.
Ma Thor non si sarebbe fermato, né per lei né per nessun altro. Svoltò in una via secondaria, poi in un’altra, girando e svoltando lungo strade che conosceva a memoria, fino a che raggiunse casa.
Era piccola, dal vago aspetto di abitazione come tutte le altre, con i suoi muri d’argilla e il tetto di paglia secca. Come la maggior parte, aveva un unico vano diviso, con il padre che dormiva da una parte e i suoi tre fratelli dall’altra; diversamente dalle altre, aveva un piccolo pollaio sul retro, ed era qui che Thor era relegato a dormire. All’inizio aveva dormito accampato con i suoi fratelli, ma nel tempo loro erano diventati più grandi, più meschini e più boriosi, e avevano lasciato intendere di non volergli lasciare spazio. Thor ne era stato inizialmente ferito, ma ora apprezzava quello spazio tutto suo, preferendo stare ala larga dalla loro presenza. Era una semplice conferma del suo essere un esule all’interno della famiglia, cosa che già sapeva.
Thor corse fino alla porta d’ingresso e si proiettò all’interno senza fermarsi.