Морган Райс - La Fabbrica della Magia стр 3.

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“Bene,” disse sua madre esasperata. “Hai ragione però. Sta diventando sempre più strambo ogni giorno che passa.”

Tutti e tre si voltarono, diretti in cucina. Girandosi un secondo a guardarlo, Chris fece un ghigno e gli sussurrò: “Strambo.”

Oliver fece un respiro profondo. Andò alla nicchia e posò la sua valigia ai propri piedi sul pavimento. Non c’era spazio per mettere i suoi vestiti, nessuno scaffale né cassetti, e poi neanche un posto per poter sistemare un letto, sempre ammesso che i suoi genitori gliene fornissero uno. Ma ce l’avrebbe fatta. Poteva appendere una tenda per avere un po’ di privacy, fare delle mensole con del legno e costruire un cassetto da mettere sotto al letto – il letto che sperava di ottenere – in modo da avere almeno un posto sicuro in cui mettere le proprie invenzioni.

E poi, se doveva proprio cercare l’aspetto positivo, una cosa che Oliver si sforzava sempre di fare, era subito sotto a una grande finestra, il che significava che avrebbe avuto un sacco di luce e un panorama da ammirare.

Appoggiò quindi i gomiti sul davanzale e guardò la grigia giornata d’ottobre. C’era molto vento fuori, con rifiuti sparsi che volavano in mezzo alla strada. Di fronte a casa sua c’era una macchina ammaccata e arrugginita che era stata gettata lì. Era decisamente un quartiere povero, decise Oliver. Uno dei peggiori in cui avessero mai abitato.

Una folata di vento fece vibrare il vetro della finestra e uno spiffero di aria fredda entrò da una fessura nella cornice. Oliver rabbrividì. Per essere ottobre, la temperatura era molto più fredda che nel New Jersey. Aveva anche sentito una notizia alla radio riguardo un grosso temporale in arrivo. Ma Oliver amava i temporali, soprattutto quando c’erano tuoni e fulmini.

Annusò l’aria sentendo l’odore di cibo che gli arrivava alle narici. Si girò e si avventurò nella zona della cucina. Sua mamma era in piedi davanti al fornello e mescolava una grossa pentola di qualcosa.

“Cosa c’è per cena?” chiese.

“Carne,” disse. “E patate. E piselli.”

La pancia di Oliver brontolò nell’attesa. La sua famiglia mangiava sempre cose semplici, ma a Oliver non importava più di tanto. Aveva gusti semplici.

“Andate a lavarvi le mani, ragazzi,” disse loro padre già seduto al suo posto al tavolo.

Con la coda dell’occhio Oliver scorse il sorriso malvagio di Chris, e capì immediatamente che suo fratello aveva già in mente un altro dei suoi tormenti. L’ultima cosa che voleva era trovarsi intrappolato nel bagno con Chris, ma suo padre sollevò ancora una volta lo sguardo dal tavolo, le sopracciglia inarcate.

“Devo dire sempre tutto due volte?” si lamentò.

Non c’era via di fuga. Oliver uscì dalla stanza, Chris subito dietro di lui. Salì di corsa le scale andando dritto al bagno, nel tentativo di lavarsi le mani il più rapidamente possibile. Ma Chris era alle sue calcagna e non appena furono a distanza tale che i genitori non potessero sentire, afferrò Oliver e lo spinse contro il muro.

“Indovina un po’, moccioso,” gli disse.

“Cosa?” disse Oliver preparandosi.

“Ho davvero tanta, tanta fame stasera,” disse Chris.

“E allora?” rispose Oliver.

“Quindi mi farai mangiare anche la tua cena, no? Dirai a mamma e papà che non hai fame.”

Oliver scosse la testa. “Ti ho già dato la camera!” si rifiutò. “Fammi mangiare le patate, almeno!”

Chris rise. “Non se ne parla. Domani iniziamo la scuola nuova. Devo essere forte in caso ci siano delle mezze calzette come te da prendere di mira.”

Il riferimento alla nuova scuola pervase Oliver di una nuova ondata di trepidazione. Aveva iniziato così tante scuole nuove in vita sua, e ogni volta sembrava andare sempre un po’ peggio. C’era sempre un equivalente di Chris Blue capace di individuarlo, per poi prenderlo di mira a qualsiasi costo. E non c’erano mai alleati per lui. Oliver aveva da tempo rinunciato a farsi degli amici. Che senso aveva, se tanto poi si doveva trasferire di nuovo nel giro di pochi mesi?

Il volto di Chris si ammorbidì. “Sai cosa ti dico, Oliver, sarò gentile. Solo questa volta.” Poi sorrise e scoppiò in una fragorosa risata. “Ti darò un panino di bistecca per cena!”

Sollevò la mano aperta. Oliver si abbassò velocemente, schivando il colpo di pochi millimetri. Scattò poi giù dalle scale, verso il salotto.

“Torna indietro, pezza da piedi!” gridò Chris.

Gli era proprio dietro, ma Oliver era veloce, e corse in sala da pranzo. Suo padre sollevò lo sguardo vedendolo ansimare nel tentativo di riprendere fiato dopo la corsa.

“State ancora litigando?” sospirò. “Cos’è successo questa volta?”

Chris arrivò quasi in scivolata e si fermò accanto a Oliver.

“Niente,” disse rapidamente.

All’improvviso Oliver sentì una forte pizzicava alla vita. Chris ci stava piantando le unghie. Oliver lo guardò e vide l’espressione di trionfo sul suo volto.

Loro padre parve sospettoso. “Non vi credo. Cosa succede?”

La pizzicata si fece più forte e il dolore si irradiò lungo tutto il fianco di Oliver. Capì quello che doveva fare. Non c’era altra scelta.

“Stavo solo dicendo,” disse con una smorfia, “che non ho molta fame stasera.”

Suo padre lo guardò con espressione stanca. “La mamma sta lavorando come una serva a quel fornello per voi, e tu dici che non ne hai voglia?”

La mamma si girò a guardarlo dal fornello con sguardo ferito. “Qual è il problema? Non ti piace più la carne? O sono le patate il problema?”

Oliver sentì Chris pizzicarlo ancora più a fondo, incrementando ancora di più il dolore che già provava.

“Scusa, mamma,” disse con gli occhi che si riempivano di lacrime. “Ti sono riconoscente, solo che non ho fame.”

“Che cosa dovrei fare con lui?” esclamò sua madre. “Prima la camera, e adesso questo! I miei nervi non ce la possono fare.”

“Mangio io quello che avanza,” disse Chris rapidamente. Poi aggiunse con voce zuccherosa. “Non voglio che tutti i tuoi sforzi vadano sprecati.”

Mamma e papà si voltarono entrambi a guardare Chris. Era grande e grosso, e stava diventando sempre più tozzo, ma loro non sembravano esserne preoccupati. O forse non volevano opporre resistenza al bullo che stavano crescendo.

“Bene,” disse la mamma sospirando. “Ma tu devi darti una regolata, Oliver. Non posso avere queste lagne ogni sera.”

Oliver sentì che Chris allentava l’intensità della pizzicata. Si strofinò il fianco dolorante.

“Ok mamma,” disse tristemente. “Scusa mamma.

Mentre il rumore di piatti e posate risuonava alle sue spalle, Oliver si allontanò dal tavolo, lo stomaco che ancora brontolava, e andò alla sua nicchia. Per bloccare gli odori che rendevano ancora più evidente la sua fame, si distrasse aprendo la valigia e tirando fuori il suo unico possedimento: un libro sugli inventori. Un bibliotecario gentile gliel’aveva regalato anni prima dopo aver notato la sua costanza nel passare a leggerlo. Ora aveva un sacco di angoli di pagine piegate, era consumato dal milione di volte in cui l’aveva sfogliato. Ma per quanto spesso lo leggesse, non se ne annoiava mai. Gli inventori e le invenzioni lo affascinavano. Infatti uno dei motivi per cui Oliver non era così triste di essersi trasferito in questo quartiere del New Jersey era che aveva letto di una fabbrica lì vicino dove un inventore di nome Armando Illstrom aveva costruito alcune delle sue migliori creazioni. A Oliver non importava che Armando Illstrom fosse inserito nella sezione del libro intitolata Inventori bizzarri, o che la maggior parte dei suoi apparecchi si fosse rivelato un fallimento. Lo considerava lo stesso una grossa fonte di ispirazione, soprattutto per la sua trappola esplosiva che aveva lo scopo di spaventare i procioni. Oliver stava cercando di crearne una versione personale per tenere alla larga Chris.

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