Per non parlare poi del sacrificio. Non c’era nessuna garanzia di poter tornare. Dover lasciare la Scuola degli Indovini aveva spezzato il cuore a Oliver, e lui lo aveva fatto solo per salvare la vita di Armando. Quindi doveva esserci qualcosa che aveva spinto Esther a venire lì. Una ricerca, forse. Una missione. Forse la scuola era nuovamente in pericolo?
“Non come!” disse Oliver. “Perché?”
Con sua enorme sorpresa Esther fece un sorrisino. “Mi hai promesso un secondo appuntamento.”
Oliver rimase in silenzio, accigliandosi. “Intendi dire che sei venuta qui per me?”
Non riusciva a capire. C’era la possibilità che Esther non potesse tornare indietro mai più. Sarebbe potuta restare intrappolata nella linea temporale sbagliata per tutta la vita. E lo aveva fatto per lui?
Le si imporporarono le guance. Cercò di non darlo a vedere, diventando improvvisamente timida. “Ho pensato che avessi bisogno di aiuto.”
Anche se non riusciva a capire, Oliver era riconoscente per il sacrificio compiuto da Esther. Poteva benissimo restare intrappolata per sempre nella linea temporale sbagliata, e l’aveva fatto per lui. Si chiese se ciò significasse che lo amava. Non gli veniva in mente nessun altro motivo per cui una persona dovesse fare tanto per un’altra.
Quel pensiero gli fece sentire un calore che gli avvolgeva tutto il corpo. Cambiò rapidamente argomento, sentendosi improvvisamente timido e ritroso.
“Com’è andato il viaggio nel tempo?” le chiese. “Sei arrivata senza farti male?”
Esther si diede un colpetto alla pancia. “Un po’ di nausea. E mi è venuto un mal di testa tremendo, ma tutto qui.”
In quel momento Oliver ricordò l’amuleto. Lo tirò fuori da sotto la tuta da lavoro. “Il professor Ametisto mi ha dato questo prima che me ne andassi.”
Esther toccò l’amuleto con le dita. “Un indicatore di portali! Si scalda quando arrivi vicino a un condotto spazio-temporale, vero?” Sorrise con espressione spensierata. “Un giorno potrebbe guidarci dritto alla Scuola degli Indovini.”
“Ma da quando sono arrivato qui è sempre stato freddo come il ghiaccio,” disse Oliver mestamente.
“Non ti preoccupare,” gli disse Esther. “Non abbiamo nessuna fretta. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.” Ridacchiò per la battuta.
Anche Oliver rise.
“Ho una nuova impresa ora,” le spiegò.
Esther sgranò gli occhi entusiasta. “Davvero?”
Oliver annuì e le fece vedere la bussola. Esther la osservò meravigliata.
“È bellissima. Cosa significa?”
Oliver indicò le lancette e gli strani simboli geroglifici. “Mi sta portando dai miei genitori. Questi simboli rappresentano certi luoghi e persone. Vedi, questi sono i miei genitori.” Indicò la lancetta che non si era mai spostata, quella che restava fissa sull’immagine di un uomo e una donna che si tenevano per mano. “Queste altre lancette sembrano muoversi a seconda di dove devo andare.”
“Oh Oliver, che meraviglia! Hai una missione! Dove devi andare adesso?”
Lui indicò la foglia di olmo. “A Boston.”
“Perché a Boston?”
“Non ne sono sicuro,” le rispose mentre si infilava la bussola nella tasca della tuta. “Ma ha a che vedere con il trovare i miei genitori.”
Esther mise la propria mano nella sua e sorrise. “E allora andiamo.”
“Vieni con me?”
“Sì,” rispose lei timidamente. “Se vuoi.”
“Ma certo.”
Oliver sorrise. Anche se non riusciva a spiegarsi come Esther potesse essere così tranquilla davanti al fatto che sarebbe potuta restare intrappolata per sempre nella linea temporale sbagliata, la sua presenza gli teneva alto l’umore. Tutt’a un tratto ogni cosa sembrava più pregna di speranza, come se l’universo lo stesse guidando. La sua impresa per trovare i suoi genitori sarebbe stata molto più gradevole con Esther al suo fianco.
Scesero i gradini, lasciandosi alle spalle la Scuola Media Campbell, e si incamminarono verso la stazione ferroviaria, camminando fianco a fianco. La mano di Esther era liscia in quella di Oliver. Gli dava un tale conforto.
Sebbene fosse una fresca giornata d’ottobre, Oliver non sentiva per niente freddo. Solo il fatto di essere insieme a Esther lo scaldava. Era bello vederla. Aveva pensato di non poterla rivedere mai più. Ma non riusciva a smettere di preoccuparsi che fosse un miraggio e che potesse scomparire da un momento all’altro. Quindi, mentre camminavano, continuava a lanciarle delle occhiate, giusto per assicurarsi che fosse reale. Ogni volta lei gli rivolgeva quel suo sorriso dolce e timido, scatenandogli sempre una nuova ondata di calore nel petto.
Raggiunsero la stazione e andarono al binario. Oliver non aveva mai veramente comprato un biglietto del treno prima d’ora, e la macchina automatica in un certo senso lo intimidiva. Ma poi si ricordò che era stato capace di disinnescare una bomba, quindi poteva di certo capire come far funzionare una biglietteria automatica.
Comprò due biglietti per Cambridge, a Boston, selezionando l’opzione solo andata, dato che non aveva idea se sarebbe mai tornato nel New Jersey. Il pensiero lo preoccupava.
Il viaggio fino a Cambridge sarebbe durato solo poco più di quattro ore. Guardarono il treno fermarsi al binario e salirono a bordo, trovando una carrozza tranquilla dove potersi accomodare per il lungo tragitto.
“Come stanno tutti a scuola?” chiese Oliver. “Ralph? Hazel? Walter? Simon?”
Esther sorrise. “Stanno bene. Sentiamo tutti la tua mancanza, ovviamente. Walter davvero tanto, a dire il vero. Dice che lo Switchit non è lo stesso senza di te.”
Oliver sentì le labbra piegarsi in un mesto sorriso. Anche a lui mancavano i suoi vecchi amici.
“E la scuola?” chiese. “È tutto al sicuro? Basta attacchi?”
Rabbrividì al ricordo di quando Lucas aveva condotto gli indovini malvagi nel loro attacco alla scuola. E anche se nella sua linea temporale aveva fermato Lucas, aveva la sensazione che non era del tutto finita con quel vecchio uomo malvagio.
“Nessun altro attacco da parte di pipistrelli dagli occhi luccicanti,” rispose Esther con un sorriso.
Oliver ripensò a quell’orribile momento durante la loro uscita insieme. Stavano passeggiando nei giardini, ed Esther gli stava raccontando della sua vita e della sua famiglia, di come era cresciuta nel New Jersey negli anni Settanta, quando l’attacco li aveva interrotti.
Oliver si rese ora conto che non avevano mai portato a termine quella conversazione. Non aveva mai avuto altre occasioni per scoprire chi fosse stata Esther Valentini prima di entrare nella Scuola degli Indovini.
“Veniamo dallo stesso quartiere, vero?” le chiese.
Parve sorpresa che se ne ricordasse. “Sì. Solo che con un salto di una trentina d’anni.”
“Non è strano per te? Essere in un posto che conosci bene, ma vederlo nel futuro?”
“Dopo la Scuola degli Indovini, niente mi sembra più tanto strano,” rispose lei. “Sono più preoccupata del fatto che potrei imbattermi in me stessa. Sono certa che quello è il genere di cose che potrebbero far implodere il mondo.”
Oliver valutò le sue parole. Ricordò come il vecchio Lucas avesse avvelenato la mente del giovane per fargli eseguire il suo volere. “Penso che vada tutto bene fintanto che non ti rendi conto di essere tu, se può avere senso.”
Esther si strinse le braccia attorno al corpo. “Preferisco di gran lunga non rischiare.”
Oliver guardò il suo volto farsi serio. Sembrava esserci qualcosa di nascosto dietro al suo sguardo.
“Ma non sei curiosa?” le chiese. “Di vedere la tua famiglia? Di vedere te stessa?”
Lei scosse improvvisamente la testa. “Ho sette fratelli, Oliver. Abbiamo sempre e solo litigato, soprattutto da quando hanno visto che ero stramba. E tutto ciò che mamma e papà hanno veramente fatto è stato litigare per me, discutere su cosa ci fosse di sbagliato in me.” La sua voce era sommessa e colma di malinconia. “Sto molto meglio fuori da tutto questo.”