C’era ancora Gertrude Illiard, con un cuscino in mano.
“Sarò la prima,” promise. “Ti soffocherò come tu hai soffocato me, ma non morirai. Non qui. Non importa ciò che ti faremo: non morirai, anche se implorerai che accada.”
Kate di guardò in giro osservandoli, e tutti avevano un qualche strumento, che fosse un coltello o una frusta, una spada o una fune per strangolare. Tutti sembravano avere fame di farle del male, e Kate sapeva che le sarebbero piombati addosso senza pietà non appena avessero potuto.
Ora poteva vedere lo scudo che svaniva, diventando trasparente. Kate strinse la spada con maggiore forza e si preparò a quello che stava per capitare.
CAPITOLO TRE
Emeline seguiva Asha, Vincente e gli altri attraverso le brughiere che si estendevano al di là di Strand, tenendo stretto il braccio di Cora in modo da non perdersi nelle nebbie che salivano dal terreno.
“Ce l’abbiamo fatta,” disse Emeline. “Abbiamo trovato Casapietra.”
“Penso che Casapietra abbia trovato noi,” sottolineò Cora.
Era piuttosto corretto, dato che gli abitanti del posto le avevano salvate dall’esecuzione. Emeline poteva ancora ricordare il calore bruciante delle pire quando chiudeva gli occhi, e la puzza acre del fumo. Non avrebbe voluto.
“E poi,” aggiunse Cora, “penso che per trovare un posto, si debba essere capaci di vederlo.”
Mi piace il tuo animaletto umano, le disse Asha con il pensiero, camminando davanti a loro. Parla sempre così tanto?
La donna che pareva essere uno dei capi di Casapietra camminava a grandi passi, il lungo cappotto che le ondeggiava dietro come uno strascico, il cappello a larghe falde che le teneva la testa all’asciutto dall’umidità del posto.
Non è il mio animaletto, le rispose Emeline silenziosamente. Pensò per un momento di dirlo a voce alta per il bene di Cora, ma fu proprio per il suo bene che non lo fece.
Perché mai uno dovrebbe portarsi dietro uno dei Normali? chiese Asha.
“Ignora Asha,” disse Vincente a voce alta. Era tanto alto da incombere su di loro, ma nonostante quella stazza e la lama a forma di mannaia che portava al fianco, sembrava il più amichevole tra i due. “Fa fatica a credere che quelli senza il nostro dono possano fare parte della nostra comunità. Per fortuna non tutti quelli come noi la pensano a questo modo. E per quanto riguarda la nebbia, è una delle nostre protezioni. Quelli che cercano Casapietra per fare del male, vagano a vuoto senza trovarla. Si perdono.”
“E così noi possiamo dare la caccia a coloro che ci fanno del male,” disse Asha con un sorriso che non era del tutto rassicurante. “Comunque, ci siamo quasi. Presto si solleverà.”
Lo fece, e fu come mettere piede su un’ampia isola punteggiata dalla bruma, con il terreno che si sollevava formando una vasta area che era ben più grande di Ashton. Non che fosse gremita di case come la città. La maggior parte sembrava invece terra per il pascolo, o un insieme di zone dove la gente lavorava per coltivare verdure. All’interno del perimetro di quella terra coltivabile si trovava un muro di pietra asciutta alto quanto le spalle di un uomo adulto, che si estendeva davanti a un fossato in modo tale da costituire una struttura di difesa piuttosto che un semplice indicatore. Emeline percepì un debole baluginio di potere e si chiese se ci fosse dell’altro.
All’interno si trovavano una serie di case di pietra e torba: casette con i tetti di torba ed erba, case rotonde che parevano essere lì da sempre. Al centro di tutto si trovava una struttura circolare simile alle altre nella pianura, eccetto per il fatto che era più grande e piena di gente.
Finalmente avevano trovato Casapietra.
“Venite,” disse Asha camminando in modo spiccio verso la struttura. “Vi facciamo sistemare. Mi accerto io che nessuno vi scambi per invasori e vi uccida.”
Emeline la guardò e poi si voltò verso Vincente.
“È sempre così?” chiese.
“Di solito ben peggio,” rispose Vincente. “Ma ci dà una mano a proteggerci. Venite, dovete vedere entrambe la vostra nuova casa.”
Scesero verso il villaggio fatto di pietra, e gli altri le seguirono oppure si distaccarono dal gruppo per andare a parlare con degli amici.
“Sembra un posto così bello,” disse Cora. Emeline era felice che le piacesse. Non era certa di quello che avrebbe fatto se l’amica avesse deciso che Casapietra non era il santuario che aveva sperato.
“Lo è,” confermò Vincente. “Non sono certo di chi l’abbia trovato, ma è presto diventato un posto per quelli come noi.”
“Quelli che hanno i poteri,” disse Emeline.
Vincente scrollò le spalle. “Questo è quello che dice Asha. Personalmente preferisco pensare che sia un posto per tutti gli espropriati. Siete entrambe le benvenute qui.”
“Semplicemente così?” chiese Cora.
Emeline immaginò che il suo sospetto avesse molto a che fare con le cose che avevano incontrato lungo la strada. Sembrava che quasi tutti quelli che avevano incontrato fossero stati determinati a derubarle, farle schiave o peggio. Doveva ammettere che avrebbe potuto condividere un sacco di quei pensieri, eccetto per il fatto che queste persone erano per molti aspetti come lei. Voleva essere capace di fidarsi di loro.
“I poteri della tua amica mettono in chiaro che sia una di noi, mentre tu… tu eri una delle vincolate?”
Cora annuì.
“So cosa vuol dire,” disse Vincente. “Sono cresciuto in un posto dove mi dicevano che dovevo pagare per la mia libertà. Lo stesso è successo ad Asha. Lei ha pagato con il sangue. Ecco perché è così attenta nel fidarsi degli altri.”
Emeline si trovò a pensare a Kate. Si chiese cosa ne fosse stato della sorella di Sofia. Era riuscita a trovare Sofia? Era anche lei diretta a Casapietra, o stava tentando di trovare la strada di Ishjemme per stare con lei? Non c’era modo di saperlo, ma Emeline poteva sperare.
Entrarono nel villaggio seguendo Vincente. A una prima occhiata poteva sembrare un normale villaggio, ma guardando meglio Emeline poté scorgere le differenze. Vide le rune e i segni d’incantesimo intagliati sulla pietra e sul legno degli edifici, poté percepire nello stesso spazio la pressione di dozzine di persone che possedevano il talento della magia.
“È così tranquillo qui,” disse Cora.
Poteva anche sembrare tranquillo e silenzioso per lei, ma per Emeline l’aria era pregna di chiacchiericcio mentre la gente comunicava da mente a mente. Sembrava essere normale come parlare a voce alta qui, forse ancora di più.
C’erano anche altre cose. Aveva già visto quello che poteva fare Tabor, il guaritore, ma c’erano persone che usavano altri talenti. Un ragazzo sembrava giocare un gioco delle tazze con la pallina senza neanche toccarle. Un uomo stava creando scintille di luce in dei vasetti di vetro, ma pareva che non usare alcun innesco o brace. C’era anche un fabbro che lavorava senza il fuoco, con il ferro che sembrava rispondere al suo tocco come una cosa viva.
“Abbiamo tutti i nostri doni,” disse Vincente. “Abbiamo raccolto conoscenza, in modo da poter aiutare quelli con i poteri ad esprimerli il più possibile.”
“La nostra amica Sofia ti sarebbe piaciuta,” disse Cora. “Sembrava avere un bel po’ di poteri.”
“Gli individui realmente potenti sono rari,” disse Vincente. “Quelli che sembrano più forti sono spesso i più limitati.”
“Eppure siete capaci di far levare la nebbia che si diffonde per miglia qua attorno,” sottolineò Emeline. Sapeva che questo richiedeva ben più di un potere limitato. Molti di più.
“Questo lo facciamo insieme,” disse Vincente. “Se resterai probabilmente contribuirai anche tu, Emeline.”
Indicò il cerchio nel cuore del villaggio, dove delle figure sedevano su delle poltrone di pietra. Emeline poteva sentire il crepitio del potere lì, anche se pareva che non stessero facendo altro che stare intenti a guardare. Mentre li guardava, uno di loro si alzò con l’aspetto esausto, e un altro paesano si portò a prendere il suo posto.