Морган Райс - La Notte dei Prodi стр 10.

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Guardando la sua gente che se ne stava semplicemente ferma lì, il volto di Vesuvio avvampò per l’umiliazione. Senza di lui sembravano tutti demoralizzati, privi di ogni voglia di combattere. Finalmente Le Fiamme erano state abbassate ed Escalon era loro. Cosa stavano aspettando?

Finalmente li raggiunse e facendo irruzione in mezzo alla folla, galoppando tra loro, li vide tutti rivolgergli sguardi scioccati, spaventati, ma anche speranzosi. Si fermarono tutti a fissarlo. Aveva sempre avuto quell’effetto su di loro.

Balzò giù da cavallo e senza esitare sollevò l’alabarda, la fece ruotare e tagliò la testa all’animale. Il cavallo rimase in piedi per un momento, decapitato. Poi cadde a terra morto.

Questo, pensò Vesuvio, per non aver galoppato abbastanza veloce.

E poi gli era sempre piaciuto uccidere qualcosa quando arrivava da qualche parte.

Vesuvio vide la paura negli occhi dei suoi troll mentre avanzava furioso incontro a loro, desideroso di risposte.

“Chi guida questi uomini?” chiese.

“Sono io, mio signore.”

Vesuvio si voltò e vide un robusto e grande troll, Suve, suo vicecomandante a Marda, che si portava davanti a lui con decine di migliaia di troll alle spalle. Vesuvio capì subito che Suve stava cercando di darsi un’apparenza fiera, ma che la paura era celata dietro al suo sguardo.

“Pensavamo fossi morto, mio signore,” aggiunse, come se volesse spiegarsi.

Vesuvio si accigliò.

“Io non muoio,” disse seccamente. “Morire è da codardi.”

Tutti i troll lo guardavano con timore, in silenzio, mentre Vesuvio serrava e rilasciava il pugno sull’alabarda.

“E perché vi siete fermati qui?” chiese. “Perché non avete distrutto tutta Escalon?”

Suve guardò prima Vesuvio e poi i suoi uomini.

“Siamo stati fermati, mio signore,” ammise alla fine.

Vesuvio sentì un’ondata di rabbia.

“Fermati?” disse seccamente. “Da chi?”

Suve esitò.

“Colui che è conosciuto come Alva,” disse infine.

Alva. Il nome risuonò nel profondo dell’animo di Vesuvio. Il più grande stregone di Escalon. L’unico forse che avesse più potere di lui.

“Ha creato un crepaccio nella terra,” spiegò Suve. “Un canyon che non siamo stati capaci di attraversare. Ha separato il sud dal nord. Troppi di noi vi sono già morti. Sono stato io a richiamare indietro e annullare l’attacco, sono stato io a salvare tutti questi troll che adesso vedi qui. Per questo, mio signore, ti chiedo di promuovermi e cedermi l’intero comando. Dopotutto ora questa nazione guarda a me come guida.”

Vesuvio sentì la rabbia salire al punto di esplodere quasi. Con mani tremanti fece due passi, fece roteare l’alabarda in un ampio cerchio e tagliò la testa di Suve.

Suve cadde a terra mentre il resto dei troll fissavano la scena con shock e paura.

“Ecco,” rispose Vesuvio al troll morto, “il tuo comando.”

Vesuvio guardò la sua nazione di troll con disgusto. Camminò avanti e indietro tra i ranghi fissandoli tutti in faccia, infondendo in loro paura e panico e divertendosi nel farlo.

Alla fine parlò con voce più simile a un ruggito.

“Il grande sud si trova davanti a voi,” tuonò con voce oscura e piena di rabbia. “Quelle terre erano nostre un tempo, saccheggiate dai vostri antenati, quelle terre appartenevano un tempo a Marda. Hanno rubato ciò che era vostro.”

Vesuvio fece un profondo respiro.

“Per chi fra voi abbia paura ad avanzare, raccoglierò i vostri nomi e i nomi delle vostre famiglie e vi farò tutti torturare lentamente, uno alla volta.  Poi vi manderò a marcire nelle fosse di Marda. Chi di voi invece vuole combattere, avere salva la vita, reclamare ciò che i vostri avi possedevano un tempo, si uniscano a me adesso. Chi è con me?” gridò.

Si levò un forte grido di esultanza che si dispiegò tra i ranghi, fila dopo fila, a perdita d’occhio. Tutti i troll sollevarono le alabarde e cantarono il suo nome.

“VESUVIO! VESUVIO! VESUVIO!”

Vesuvio lanciò un forte grido di battaglia, si giro e scattò verso sud. Dietro di sé udì un rombo simile a un tuono, il rombo di migliaia di troll che lo seguivano, di una grandiose nazione determinata a mettere fine ad Escalon una volta per tutte.

CAPITOLO NOVE

Kyra volava sul dorso di Theon attraversando Marda, diretta verso sud, tornando lentamente in sé man mano che lasciava quella terra di oscurità. Si sentiva più potente che mai. Con la mano destra brandiva il Bastone della Verità che emanava una luce tale da inglobarli entrambi. Era un’arma più grande di lei stessa, lo capiva bene. Era un oggetto del destino che la riempiva di potere e la guidava, tanto quanto lei guidava lui. Tenerlo in mano faceva sentire più grande l’universo, faceva sentire più grande lei stessa.

A Kyra sembrava di tenere in mano un’arma che era destinata ad avere da quando era nata. Per la prima volta in vita sua capiva cosa le era mancato e si sentiva completa. Lei e il bastone, l’arma misteriosa che aveva recuperato dal profondo delle terre di Marda, erano una cosa sola.

Kyra volava verso sud insieme a Theon, anche lui più grande e più forte sotto di lei, la rabbia e la vendetta negli occhi in pieno accordo con la sua. Mentre continuavano a volare e le ore passavano, alla fine il buio cominciò a cedere e si iniziò a vedere il verde di Escalon. Kyra provava un senso di urgenza, sentiva che suo padre, circondato dall’esercito di Ra, aveva bisogno di lei a sud. Sapeva che i soldati pandesiani riempivano il territorio. Sapeva che le flotte di Pandesia stavano colpendo Escalon dal mare. Sapeva che da qualche parte nei cieli i draghi li accerchiavano, anche loro intenzionati a distruggere Escalon. E sapeva che i troll stavano invadendo, milioni di creature che facevano a brandelli la sua terra. Escalon si trovava in cattive acque su ogni fronte.

Kyra sbatté le palpebre e cercò di cacciare dalla testa l’orrendo ricordo della sua terra lacerata e fatta a pezzi, le lunghe distese di rovine, macerie e cenere. Eppure, mentre teneva più stretto il bastone, sapeva che quell’arma poteva essere la sua speranza di redenzione. Potevano quel bastone, Theon e i suoi poteri veramente salvare Escalon? Poteva essere salvato qualcosa di ormai distrutto a tal punto? Escalon poteva mai sperare di tornare la terra che era stata un tempo?

Kyra non lo sapeva. Ma c’era sempre la speranza. Era ciò che suo padre le aveva insegnato: anche nell’ora più grama, quando le cose sembravano tracollare, anche se pareva che tutto fosse completamente distrutto, c’era sempre speranza. C’era sempre una qualche scintilla di vita, di speranza, di cambiamento. Niente era mai assoluto. Neanche la distruzione.

Kyra continuò a volare sentendo il suo destino che sgorgava in lei, sentendo una spinta di ottimismo, sentendosi più potente di secondo in secondo. Rifletteva e aveva la sensazione di aver conquistato qualcosa nel profondo dentro di sé. Ricordò il momento in cui aveva tagliato la tela del ragno e sentì che, quando l’aveva tagliata, aveva reciso anche qualcosa dentro di sé. Era stata costretta a sopravvivere da sola e aveva conquistato i demoni che si trovavano nascosti dentro di lei. Non era più la stessa ragazza che era cresciuta nel forte di Volis, non era neppure la stessa ragazza che si era avventurata a Marda. Ora tornava come donna. Come guerriera.

Kyra abbassò lo sguardo e scrutò tra le nuvole, sentendo che il paesaggio stava cambiando sotto di lei. Vide che aveva finalmente raggiunto il confine dove un tempo si trovavano Le Fiamme. Mentre osservava la grande cicatrice che segnava la terra, scorse del movimento con la coda dell’occhio.

“Più giù, Theon.”

Si tuffarono sotto le pesanti nubi e mentre l’oscurità si diffondeva, il suo cuore si gonfiò vedendo di nuovo la sua adorata terra. Fu emozionata di vedere il suo territorio, le colline e gli alberi che conosceva, l’odore di Escalon nell’aria.

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