Invece i giardini erano vuoti, e Sebastian si trovò a scivolarvi attraverso e ad entrare nel palazzo da una porta laterale. I servitori lo fissarono e Sebastian continuò ad avanzare, non volendo le complicazioni che sarebbero emerse se qualcuno avesse parlato della sua presenza. Non voleva essere beccato a parlare all’intera corte: voleva solo sapere cosa stava accadendo e poi andarsene di nuovo, in modo meno intrusivo possibile.
Sebastian attraversò il palazzo, abbassandosi o tirandosi di lato ogni volta che pensava ci fosse una guardia di passaggio. Si diresse verso le sue stanze. Entrò e raccolse una spada e degli abiti, prendendo una borsa per riempirla con le provviste che potevano starci. Tornò nei corridoi del palazzo…
… e quasi immediatamente si trovò faccia a faccia con un servitore che iniziò a ritrarsi, il terrore dipinto in volto, come se pensasse che lui avrebbe potuto ucciderlo.
“Non ti preoccupare,” disse Sebastian. “Non ti farò del male. Sono qui solo per…”
“È qui!” gridò il servitore. “Il principe Sebastian è qui!”
Quasi subito fece seguito il rumore di passi che si avvicinavano. Sebastian si girò per scappare lungo il corridoio, correndo negli ambienti dove aveva camminato per buona parte della sua vita. Andò a destra, poi a sinistra, cercando di seminare gli uomini che ora gli stavano alle calcagna e gli gridavano di fermarsi.
C’erano altri uomini più avanti. Sebastian si guardò in giro, poi corse in una stanza lì vicino, sperando che potesse esserci almeno una porta comunicante o un posto per nascondersi. Non c’era.
Le guardie si affollarono nella stanza. Sebastian considerò le opzioni, pensò a come era stato picchiato dagli uomini di Rupert e sguainò la spada quasi di istinto.
“Metta giù la spada, altezza,” ordinò il capo delle guardie. C’erano uomini da entrambe le parti ora, e con sorpresa di Sebastian alcuni avevano anche i moschetti puntati. Quali uomini avrebbero rischiato la rabbia di sua madre minacciando uno dei suoi figli con una morte del genere? Normalmente non rischiavano così tanto. Era uno dei motivi per cui Rupert negli anni l’aveva fatta franca così spesso.
Sebastian però non era Rupert, e non era tanto sciocco da considerare l’idea di combattere contro un gruppo di uomini armati come quello. Abbassò la spada, ma non la lasciò cadere.
“Che significato ha tutto questo?” chiese. C’era qui una carta che poteva giocare e che non era proprio da lui, ma che probabilmente si poteva rivelare la sua migliore opzione per salvarsi. “Sono l’erede al trono di mia madre, e mi state minacciando. Abbassate subito le armi!”
“È per questo che l’hai fatto?” chiese il capo delle guardie con un tono che pareva trasmettere più odio di quanto Sebastian ne avesse sentito in vita sua. “Volevi essere l’erede?”
“È questo quello per cui ho fatto cosa?” ribatté Sebastian. “Cosa sta succedendo qui? quando mia madre verrà a saperlo…”
“Non ha senso fare la scena da innocente,” disse il capitano. “Sappiamo che sei stato tu ad assassinare la vedova.”
“Assassinare…” Fu come se il mondo si fermasse per un momento. Sebastian rimase fermo e a bocca aperta, la spada che gli cadeva dalle dita inermi come se lo shock lo avesse colpito. Qualcuno aveva assassinato la vedova? Sua madre era morta?
Il dolore si riversò in lui, il puro orrore di ciò che era successo lo riempì. Sua madre era morta? Non poteva essere. Era sempre stata lì, irremovibile come una roccia, e ora… era sparita, strappata via in un istante.
Subito gli uomini corsero ad afferrarlo e le mani si strinsero attorno alle sue braccia da entrambe le parti. Sebastian era troppo frastornato per poter anche solo lottare. Non ci poteva credere. Aveva pensato che sua madre sarebbe sopravvissuta a chiunque altro nel regno. L’aveva creduta così forte, così astuta che niente sarebbe mai riuscito a portarla alla fine. Ora qualcuno l’aveva assassinata.
No, non qualcuno. C’era solo una persona che poteva averlo fatto.
“È stato Rupert,” disse Sebastian. “È Rupert quello che…”
“Basta con le menzogne,” disse il capitano delle guardie. “Devo credere che sia una coincidenza che ti abbiamo trovato a correre armato per il palazzo subito dopo la morte di tua madre? Principe Sebastian della Casata di Flamberg, ti arresto per l’omicidio di tua madre. Portatelo in una delle torri, ragazzi. Immagino che vorranno processarlo per questo prima di giustiziarlo in quanto traditore.”
CAPITOLO DUE
Angelica sedeva composta nel salotto della casa di città di Rupert, perfettamente allestito con i fiori appoggiati alla mensola del caminetto, e ascoltava il panico del principe primogenito, cercando di non dare a vedere il proprio sdegno.
“L’ho uccisa!” gridava, allargando le braccia mentre camminava avanti e indietro. “L’ho davvero uccisa.”
“Gridalo un po’ più forte, mio caro principe,” disse Angelica, incapace di trattenere un briciolo dello sdegno che si sentiva scorrere dentro. “Penso ci siano delle persone nell’edificio attiguo che potrebbero non averti sentito.”
“Non ti prendere gioco di me!” disse Rupert indicandola. “Tu… sei stata tu a indurmi a questo.”
Un leggero tremito di paura sorse in Angelica a quelle parole. Non aveva alcun desiderio di essere il bersaglio della rabbia di Rupert.
“Eppure sei tu quello che è ricoperto del sangue della vedova,” disse Angelica con un leggero accenno di disgusto. Non per l’omicidio – quella vecchia se lo meritava – ma per la stupidità del suo futuro marito.
L’espressione di Rupert baluginò di rabbia, ma poi abbassò lo sguardo su se stesso come se vedesse per la prima volta il sangue sulla camicia che la macchiava di cremisi portandola in tinta con il soprabito. Poi l’espressione tornò ad essere distrutta. Strano, pensò Angelica, era possibile che avessero trovato una persona alla quale Rupert era pentito di aver fatto del male?
“Mi uccideranno per questo,” disse Rupert. “Ho ucciso mia madre. Ho attraversato il palazzo con il suo sangue addosso. La gente mi ha visto.”
Era probabile che metà Ashton lo avesse visto, dato il modo in cui aveva sicuramente camminato per le strade. La cosa migliore che si poteva dire era forse il fatto che si fosse tenuto un mantello avvolto attorno per quella parte del tragitto. Per quanto riguardava il resto… beh, Angelica se ne sarebbe occupata.
“Levati la camicia,” gli ordinò.
“Tu non mi dai ordini,” le disse Rupert girandosi verso di lei.
Angelica rimase ferma e impassibile, ma rese il tono di voce più gentile, cercando di calmare Rupert nel modo che ovviamente gradiva. “Levati la camicia, Rupert. Bisogna ripulirti.”
Rupert ubbidì e gettò lontano anche il soprabito. Angelica tamponò le macchie di sangue che restavano con un fazzoletto e un catino d’acqua, cancellando quello che poteva delle tracce della violenza. Fece suonare un campanellino e una servitrice si presentò con degli abiti puliti, portando via quelli vecchi.
“Ecco,” disse Angelica mentre Rupert si vestiva. “Non va già meglio?”
Con sua sorpresa Rupert scosse la testa. “Non cancella quello che è successo. Non cancella quello che vedo qua dentro, qua dentro!” disse colpendosi il lato della testa con il palmo della mano.
Angelica gli prese la mano e gli baciò delicatamente la fronte come una madre con un bambino. “Non devi farti del male. Sei troppo prezioso per me.”
Prezioso era una parola per descriverlo. Necessario poteva essere l’altra. Ad Angelica serviva Rupert vivo e in forma, almeno per ora. Lui era la chiave per aprirle le porte del potere, e doveva restare intatto per poterlo fare. Controllarlo si era rivelato molto semplice prima, ma tutto questo era… inaspettato.