Il re aveva già escogitato una soluzione. Per prima cosa, raggiunse i paesani ed estrasse tutte le monete che aveva.
“Vi ringrazio per avermi parlato di questo,” disse, porgendo loro il denaro. “Adesso tornate alle vostre case e non dite a nessuno ciò che avete visto. Non siete mai stati qui e questo non è mai accaduto. Se mi viene all’orecchio qualcosa di diverso…”
Colsero quella minaccia tacita, inchinandosi alla svelta.
“Sì, mio signore,” disse uno, prima che entrambi si dileguassero.
“Ora,” disse, rivolgendosi a Rodry e ai cavalieri. “Ursus, tu sei il più vigoroso; vediamo quanta forza hai davvero. A prendere delle funi, uno di voi, così potremo trascinare la bestia tutti insieme.”
Il più robusto dei cavalieri annuì in segno di approvazione e si misero al lavoro, rovistando nelle bisacce finché uno non ne estrasse delle corde spesse. Twell, il pianificatore infallibile che aveva sempre tutto ciò che serviva.
Legarono i resti del drago, impiegandoci più tempo di quanto Re Godwin avrebbe apprezzato. L’enorme mole della bestia sembrava opporre resistenza ai tentativi di contenerla, quindi Jorin, da sempre il più sveglio, dovette arrampicarvisi sopra con una corda sulle spalle per legarla. Balzò giù con grazia, nonostante l’armatura. Alla fine, riuscirono ad assicurarla. Il re andò verso di loro e afferrò la fune.
“Beh?” disse agli altri. “Credete che possa trainarla fino allo Slate da solo?”
Un tempo avrebbe potuto farlo, quando era forte come Ursus, sì, o Rodry. Adesso, però, si conosceva abbastanza bene da sapere quando aveva bisogno di aiuto. Gli uomini laggiù ricevettero il messaggio e afferrarono la fune. Re Godwin avvertì il momento in cui suo figlio iniziò a mettere tutte le sue energie nell’impresa, spingendosi contro il cadavere del drago dal lato opposto e gemendo per lo sforzo.
Quella carcassa iniziò lenta a muoversi, lasciando tracce sul terreno nello spostamento. Solo Grey non prese parte all’impresa e, a dirla tutta, non avrebbe fatto poi tanta differenza. Passo dopo passo, il gruppo avvicinò il drago al fiume.
Alla fine, raggiunsero la sponda e lo posizionarono sul punto in cui il terreno precipitava in un burrone, che coincideva sia con il confine sia con la difesa del regno. Giaceva lì, così inerme e posato che un alito di vento avrebbe potuto assumerne il controllo; aveva lo sguardo rivolto a Re Godwin, come si fosse appollaiato in attesa di sprofondare giù, nelle terre del sud.
Gli poggiò uno stivale sul fianco e, gridando per lo sforzo, lo spinse di sotto.
“È fatta,” disse, mentre si schiantava rumoroso contro l’acqua.
Non affondò, però. Al contrario, galleggiò in superficie fra quelle acque grigio acciaio, abbastanza feroci da trasportare a valle un corpo di drago che spezzava le rocce e ruotava nella corrente. Era un flusso contro il quale nessun uomo avrebbe potuto nuotare, e persino il peso del drago era una cosa da niente. Venne trascinato giù, nella direzione del mare, pronto ad accoglierlo fra le sue acque scure che si precipitarono ad abbracciare il loro corpo più grande.
“Speriamo solo che non abbia deposto delle uova,” mormorò Grey.
Re Godwin, troppo sfinito per fare domande all’uomo, restò lì in piedi, a osservare la carcassa della creatura finché non scomparve. Si disse che era perché voleva assicurarsi che le acque non la riportassero nel suo regno, che non tornasse a causare altri problemi. Si disse che stava solo riprendendo fiato, perché non era più un ragazzino ormai.
Non era la verità, però. La verità era che era preoccupato; governava il suo regno da tanto tempo e non aveva mai visto qualcosa del genere prima. Il fatto che fosse accaduto in quel momento, significava che stava per succedere qualcosa; e Re Godwin sapeva che, qualsiasi cosa fosse, avrebbe riguardato il regno intero.
CAPITOLO SECONDO
Devin sognò di trovarsi in un luogo ben oltre la ferriera nella quale lavorava e persino al di là della città di Royalsport, dove lui e la sua famiglia vivevano. Sognava spesso e, nei suoi sogni, poteva andare ovunque ed essere qualsiasi cosa. Nei suoi sogni, poteva essere il cavaliere che desiderava diventare da sempre.
Quel sogno era strano, però. Per prima cosa, sapeva di essere in un sogno, mentre di solito non ne era consapevole. Significava che poteva muovervisi dentro e la visuale sembrava cambiare mentre lo viveva, permettendogli di creare paesaggi intorno a sé.
Era come se stesse volando sopra al regno. In basso, poteva vedere la terra estendersi sotto di lui: il nord e il sud, divisi dal fiume Slate; e Leveros, l’isola dei monaci, a est. Nel lontano nord, agli estremi confini del regno, e a cinque o sei giorni di distanza a cavallo, poteva vedere i vulcani che giacevano assopiti da anni. In lontananza a ovest, riusciva appena a individuare il terzo continente, quello di cui le persone parlavano a bassa voce, intimorite per le creature che lo popolavano.
Restava un sogno, ma era anche, lo sapeva, una panoramica davvero accurata del regno.
Poi, non era più al di sopra del mondo. Adesso, era in uno spazio buio e c’era qualcosa lì dentro con lui: una sagoma che occupava il territorio ed emanava un odore stantio, secco e da rettile. Un guizzo di luce gli rivelò delle squame e, in penombra, pensò di sentire un movimento frusciante, insieme a soffi come di mantice. Nel suo sogno, Devin poté sentire la paura crescere e le mani serrarsi di riflesso attorno all’elsa della spada, sollevando una lama di metallo blu notte.
Enormi occhi dorati si spalancarono nell’oscurità e vi fu un altro guizzo di luce, che mostrò un gigantesco corpo squamoso di colore scuro e di dimensioni che non aveva mai visto prima; aveva le ali increspate e la bocca spalancata con una luce all’interno. Devin impiegò un momento per realizzare che si trattava di uno sfarfallio di fiamme proveniente dalla bocca della creatura e, subito dopo, non c’era altro che fuoco ad avvolgerlo, a riempire il mondo…
Le fiamme si dissolsero e adesso era seduto in una stanza dalle pareti circolari, come si trovasse in cima a una torre. Dal pavimento al soffitto, il posto era stipato di rimasugli che dovevano essere stati raccolti da una dozzina di tempi e luoghi diversi; stampe serigrafiche coprivano le pareti, mentre sulle mensole c’erano oggetti in ottone, di cui Devin non riusciva a comprendere lo scopo.
C’era un uomo lì, seduto a gambe incrociate nell’unico angolino libero da oggetti, all’interno di un cerchio disegnato col gesso e circondato da candele. Era calvo, dall’aspetto serio e aveva gli occhi fissi su Devin. Indossava una tonaca pregiata con dei simboli ricamati e dei gioielli che incorporavano motivi mistici.
“Ci conosciamo?” chiese Devin avvicinandosi a lui.
Seguì un silenzio prolungato, così interminabile che iniziò a chiedersi se avesse persino fatto quella domanda.
“Gli astri mi hanno detto che se avessi aspettato qui, in sogno, saresti venuto,” disse infine la voce. “Colui che è destinato a essere.”
Devin comprese dunque chi fosse quell’uomo.
“Siete il Maestro Grey, lo stregone del re.”
Deglutì a quel pensiero. Dicevano che quell’uomo avesse il potere di vedere cose a cui nessun uomo sano di mente vorrebbe assistere; che avesse rivelato al re quando sarebbe morta la sua prima moglie e che tutti lo avevano deriso finché non era svenuta, spaccandosi la testa sulla pietra di uno dei ponti. Dicevano che poteva vedere nell’anima di un uomo ed estrarne tutto ciò che vi trovava.
Colui che è destinato a essere.
Cosa poteva significare?
“Siete il Maestro Grey.”