“Sono ore che te ne stai qui in piedi,” disse Mark avvicinandosi a lui.
“Non sono ore,” lo corresse Royce.
“Dall’alba,” disse Mark, un po’ preoccupato. “Tu e il lupo.”
Gwylim sbuffò accanto a Royce, chiaramente non particolarmente contento di essere chiamato lupo. Royce si trovò a chiedersi quanto capisse la creatura di quello che dicevano. Diverse volte Bragia si era posata accanto a lui, e Royce aveva l’impressione di una silenziosa comunicazione in corso.
“Gwylim non è un lupo,” disse Royce. “E speravo che Lori avesse un altro messaggio per me.”
“Lo so,” disse Mark.
“Ho causato qualche problema?” chiese Royce.
“Ho dovuto occuparmi io di fare da mediatore in tutte le discussioni tra gli altri.”
“Di quelle ce ne sono abbastanza,” disse Royce.
“E anche di più,” confermò Mark. “Neave e Matilde sembrano aver deciso che discutere sia il modo migliore di dichiarare il loro amore. Bolis è così pieno di sé, e la presenza di uno dei Picti qui basta a infastidirlo.”
“E tu, Mark?” chiese Royce. “Cosa ne pensi degli altri?”
“Penso che siano validi come elementi da avere al nostro fianco,” rispose lui. “La ragazza Picti sembra tosta, ed è ovvio che Matilde è una sopravvissuta. Bolis sarà anche un cavaliere, ma almeno questo significa che sa come usare la sua spada. Ma funzionano solo fintanto che sei lì a guidarli, Royce, e invece te ne sei stato quassù tutto il giorno.”
Era vero. Aveva sperato di avere qualche cenno della presenza suo padre, o almeno di trovare un modo per connettersi alla strega che l’aveva mandato da quella parte a cercarlo. Per farlo aveva tenuto la concentrazione davanti alla nave, e non aveva prestato molta attenzione al resto che era successo a bordo. Almeno sembrava che le cose stessero andando bene, perché si stavano dirigendo dalla parte giusta.
“Come pensi che stiano andando le cose a casa?” chiese Royce a Mark.
“Sei preoccupato per i tuoi fratelli?” chiese Mark.
Royce annuì. Lofen, Raymond e Garet erano coraggiosi, e avrebbero fatto qualsiasi cosa fosse loro possibile per aiutare nella battaglia, ma potevano comunque darsi da fare solo fino a un certo punto, ed erano già stati catturati una volta.
“Loro, e Olivia,” disse. Non fece alcun accenno al fatto che i pensieri della sua fidanzata continuavano a mescolarsi a quelli di Genevieve, neanche a Mark, perché quei pensieri gli sembravano il tradimento di una persona buona, e pura, e il cui padre aveva dato loro moltissimo rispetto a chi invece l’aveva già respinto.
“Torneremo presto da lei,” disse Mark dandogli una pacca sulla spalla, e per un momento Royce non riuscì a capire di quale “lei” parlasse.
“Lo spero,” disse. Riportò la sua consapevolezza negli occhi di Bragia, e proprio per questo motivo vide le Sette Isole prima di tutti gli altri.
Stavano nascoste in banchi di nebbia che mutavano insieme alle correnti del mare. Dall’acqua salivano degli scogli appuntiti che assomigliavano ai denti di grosse bestie. Erano grosse bestie, perché Royce vide una balena affiorare tra le onde mentre guardava, la sua stazza che scivolava sull’acqua sollevando una cascata di spruzzi. Gli scogli erano contornati dagli scafi distrutti di navi che avevano tentato di avvicinarsi senza conoscere delle rotte sicure. Bastò perché Royce si sentisse grato di aver trovato un capitano propenso a portarli in quel viaggio.
Le isole stesse sembravano un miscuglio di verde e roccia nera, raccolte attorno a una laguna centrale con una di esse nel mezzo. La maggior parte erano ricoperte di erba e alberi, e sabbia così scura che doveva essere stata generata dallo sgretolamento delle facciate di granito e basalto delle isole stesse. L’isola centrale sembrava essere un vulcano che ribolliva di un rabbioso luccichio rosso, e Royce si rese ora conto che la nebbia che le avvolgeva non era per niente nebbia, ma tutto il fumo che ricadeva formando una sorta di alone attorno alle isole.
Lo Specchio della Saggezza doveva essere là dentro da qualche parte, e se era andato a cercarlo, Royce sperava che anche suo padre si trovasse lì.
“Terra a dritta!” gridò agli altri indicando con il dito.
Il capitano della nave si avvicinò sorridendo. “Dove?”
Attraverso i propri occhi Royce poteva vedere una serie di puntini che stavano man mano crescendo molto lentamente.
“Ce l’abbiamo fatta,” disse il capitano. Prese una bottiglia che portava alla cintura. “Dobbiamo bere per festeggiare un’occasione del genere, e placare gli spirti del mare.”
Porse la bottiglia a Royce, che la prese e bevve per cortesia. Il liquido all’interno gli bruciò la gola. Ne prese anche Mark, ovviamente tentato di trovare un modo per declinare, ma il capitano fu così insistente che non ci riuscì. Sorseggiò anche lui e subito dopo tossì.
“Ora che siamo più vicini,” disse il capitano, “forse vorrete dirci di più del motivo per cui siete qui. Stai cercando tuo padre, sì?”
Royce ci mise un paio di secondi a rendersi conto di ciò che l’uomo aveva appena detto.
“Non ti ho mai detto una cosa del genere,” gli disse.
“Oh, non essere così riservato,” disse il capitano. “Pensavi che non ci fossero voci che circolavano in tutti i villaggi? Tu sei Royce, il ragazzo che ha spodestato il vecchio duca. Stai cercando tuo padre e se hai fatto in modo che ti portassi in questo viaggio fino alle Sette Isole, allora lui deve essere qui da qualche parte.”
“Non so di cosa tu stia parlando,” disse Royce. “Siamo solo…”
“Dei giocolieri viaggiatori, lo so,” disse il capitano. “Solo che non lo siete. Pensi che un po’ di fango sullo scudo del tuo cavaliere basti a mascherare la sua vera identità, o a sbarazzarti del marchio che hai sulla mano? Tu sei Royce, inutile negarlo.”
L’uomo rimase a fissarlo, e Royce si trovò addosso il peso delle sue aspettative. Sospettava che non avesse senso cercare di nascondere quale fosse la sua vera identità, ma lo stesso non si trovava a suo agio ad ammetterla così liberamente.
“Per quale motivo ha importanza per te?” gli chiese Mark.
“Perché vi voglio aiutare,” disse il capitano. “Avete detto che volevate andare alle Sette Isole, ma è un sacco di terreno da perlustrare. Potrei portarvi su una di esse. Dove volete andare?”
“Non lo so,” ammise Royce. Se l’avesse saputo, sarebbe stato molto più semplice.
“Non c’è motivo di essere schivi,” disse il capitano. “Voglio dare una mano. Dimmi solo dove si trova tuo padre e vi porterò dritti da lui. Dimmi dove si trova.”
C’era una nota di durezza nel tono del capitano che indusse Royce a stare più in guardia. Lo guardò, cercando di capire cosa stesse succedendo, e guardò poi la scena nel suo complesso in un modo che non aveva considerato da quando erano partiti. Era stato troppo occupato a cercare di avvistare le isole davanti a loro, o a tentare di perlustrare la mente di Bragia alla ricerca di un contatto con Lori.
Se avesse guardato allora verso la nave, avrebbe visto i suoi amici legati a poppa, le mani strette dietro alla schiena con armatura e armi posate di fianco e un gruppo di marinai a fare loro la guardia.
“Cosa pensi di fare?” chiese Royce. “Libera subito i miei amici!”
Il capitano lo guardò ovviamente scioccato, come se si fosse reso conto solo adesso di cosa Royce era in grado di fare.
“Magia!” disse l’uomo facendo un passo indietro.
Royce fece per prendere la spada di cristallo e barcollò. Troppo tardi: si rendeva conto solo adesso di quanto tremanti e traballanti sentiva i propri piedi. La bottiglia! C’era qualcosa nella bottiglia! Mark era già mezzo accasciato contro il parapetto.
“Ti portiamo dai tuoi amici,” disse il capitano, “e magari troveremo un modo per farti parlare, se facciamo loro troppo del male. Il re pagherà profumatamente per averti, ma allora… possiamo ferirli quanto ci pare e piace.”