“… Magari posso accompagnarti a prendere il treno?” Brynn spostò il peso da un piede all’altro e si morse il labbro. Mia conosceva quel tic. Era nervosa.
“Va tutto bene?” le chiese, improvvisamente preoccupata.
“Beh, è successa una cosa. Diciamo che è importante.”
C’era chiaramente qualcosa che la turbava. Anche se Brynn era la sua sorellastra, Mia non pensava mai a lei con quel genere di distacco. Era una persona gentile e alla mano, non si lamentava ma di doverle fare da dog-sitter, neppure se Tandy si stravaccava sui suoi sedili in pelle. Mia guardò il telefono. I secondi stavano scorredo veloci, e insieme a loro la sua possibilità di rispettare la scadenza per la O-Date. Ora doveva correre su per la scala e andare a registrare quello spot. Ma Brynn era sua sorella e Mia vedeva benissimo che qualcosa la agitava. La O-Date avrebbe dovuto aspettare. La famiglia era più importante.
“Ok, Brynn. Che ne dici di raccontarmi quello che è successo mentre io mi preparo?
Brynn espirò, chiaramente sollevata, e seguì Mia su per le scale, fino al suo loft. Poi andò dritta alla macchinetta del Nespresso e si preparò un caffè.
Mia lasciò cadere accanto alla porta la borsa che aveva preparato con il necessario per passare fuori la notte. Aveva passato trenta minuti buoni la sera precedente a provare diversi outfit, decidendo alla fine per un vestitino aderente e i tacchi più alti con cui fosse in grado di camminare. Sperava che ne venisse fuori un’immagine trasudante sensualità e sicurezza, piuttosto che una lei confusa e insicura.
“Non stai sempre facendo quella… roba lì. Vero?” chiese Brynn, indicando la postazione di registrazione podcast.
“Quella roba lì? Come si dice, Brynn?” la canzonò Mia, chiudendo intanto la cerniera della borsa.
“Plod-cast?”
“Podcast,” la corresse Mia. “Certo che sto ancora facendo il mio podcast.”
“È solo che è strano, andare a caccia di fantasmi e mostri.”
“Vorrai dire, aiutare la gente a svelare gli imbrogli? Non è che io creda in quelle cose.”
“Sono contenta che tu abbia trovato un modo per esprimerti, ma…”
“… Ma cosa?” Mia stava rovistando nei cassetti, da dove tirò la roba da mettersi per andare al lavoro e che gettò sul letto.
“Beh, anche Jeffy pensa che sia strano. Lo chiama il tuo ‘strano hobby’.”
Fra tutte le opinioni che Mia avrebbe potuto prendere in considerazione, quella di Jeffrey era tra le ultime della lista. Non poteva spiegare con precisione perché. Non c’era un motivo specifico. Era solo che in lui vedeva qualcosa che non andava. Brynn descriveva suo marito come sicuro, energico e ambizioso. Quelle caratteristiche assumevano invece, nella considerazione di Mia, la connotazione di arrogante, iperattivo e spietato. Si infilò nel bagno, fece scorrere l’acqua e uscì dalla sua tuta, lasciando la porta mezza aperta mentre si faceva la doccia, in modo da poter continuare a parlare con la sorella. E questo era il momento giusto per dirle che il pubblico del suo podcast stava salendo in maniera regolare.
“Non è solo un hobby, Brynn. Ho più di settantamila ascoltatori.” Non poté fare a meno di provare uno slancio di orgoglio.
“Bello. Sono tanti?”
“Per una produzione indipendente? Certo! Ho addirittura degli sponsor!”
“Uh-huh.”
Sapeva che Brynn non aveva intenzione di fare l’antipatica, ma in qualche modo i suoi sentimenti ne rimasero comunque feriti. Il podcast era sempre stato un problema per la sua famiglia. Questa era gente che ancora mandava lettere in formato cartaceo, all’interno di buste con impresso sopra lo stemma dei Middleton, che assomigliava a una bestia alata che afferrava uno scudo raffigurante un unicorno. Ogni anno a Natale, Mia riceveva una risma di carta pergamena color crema con l’emblema. C’era una scatola nello scaffale più alto del suo armadio che era piena di quella roba. Mia si asciugò e si avvolse un asciugamano attorno al corpo. Meglio cambiare argomento prima che le cose degenerassero.
“Mi sembri un po’ stressata. Va tutto bene con Jeff?” A Mia poteva anche non fregare niente di suo cognato, ma aveva a cuore Brynn e la sua felicità.
“Oh, lui sta bene. A dire il vero, è di questo che ti devo parlare.”
“Cosa c’è?”
Mia passò una mano sullo specchio per asciugare l’alone di vapore e iniziò a passarsi un pettine a denti larghi in mezzo ai suoi ricci scuri e aggrovigliati. Le passò per la mente un ricordo del suo padre naturale. Erano sul lungomare a Ocean City in una luminosa giornata estiva. Frank Bold le aveva appena comprato un cono gelato alla fragola e cioccolato.
Suo padre le aveva scostato un ciuffo di capelli dalla guancia. “Sei mai stata sulla ruota panoramica, piccina? Si vede il mondo intero da lassù.”
Mia chiuse gli occhi con forza e si aggrappò al bordo del lavandino fino a che il ricordo non si dissolse. Pensare al suo vero papà aveva sempre un retrogusto dolceamaro. Buffo come il passato potesse rimanere così vivido. Poteva praticamente sentire il calore del sole e il sapore di sale nell’aria. All’improvviso fu di nuovo nel momento presente, e suo padre tornò ad essere solo un ricordo.
“Mimi? Hai sentito quello che ho appena detto?
“Scusa, puoi ripetere?”
“È successa una cosa. Un cambiamento imprevisto.”
“Che genere di cambiamento?”
“Sai, tipo un cambiamento che non ti aspetti.”
Mia si levò l’asciugamano e si vestì senza tante pretese: un paio di jeans puliti e una camicetta bianca.
“Perché non ceniamo insieme domani e magari mi racconti di cosa si tratta?” le suggerì, infilandosi la camicia nei pantaloni.
“… Io… penso proprio che dovrei dirtelo adesso,” disse Brynn, rigirandosi nervosamente l’anello nuziale sul dito.
“Va bene, Brynn, sputa il rospo.”
“Jeffy ha venduto il condominio. Devi traslocare.”
Le parole di Brynn le si schiantarono addosso. Mia smise di vestirsi e rimase a fissare la sorella, immobile. Non poteva credere alle proprie orecchie.
“Ma tu hai detto che potevo stare fino alla fine dell’anno.”
Brynn abbassò lo sguardo su pavimento. Le sue guance erano impallidite. Nonostante il Botox, una leggera ruga apparve sulla sua fronte, in un tentativo di cipiglio.
“Da quanto lo sai?” chiese Mia, tentando di contenere la rabbia. Era sconvolta dall’improvvisa notizia. “Dev’essere da un po’ che Jeffrey ha in programma questa cosa.”
“Pensavo… pensavo che fosse solo un’illusione. Avrei dovuto dirti che poteva succedere. Mi spiace, Mimi.”
Mia sospirò pesantemente. L’orologio digitale sul suo computer segnava le 7:45. Ecco fatto: game over. Il suo tempo per la registrazione era ufficialmente evaporato. Non era sicura di cosa la deludesse di più: aver mancato la scadenza o la notizia che la stavano sbattendo fuori di casa. A questo punto, sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a prendere il treno e arrivare al lavoro in orario.
Mandò un messaggio a Angie della O-Date. Casino tecnico. File pronto domani.
Sapeva che le probabilità che la sua misera scusa funzionasse erano molto scarne. Si rassegnò al fatto di aver probabilmente appena perso il suo solo sponsor. Poi si rivolse alla sorella.
“Cos’è successo al progetto di affittare gli appartamenti, di creare un flusso di reddito?” chiese Mia con tono gentile.
“È un affare multimilionario con un cliente d’oltreoceano. Parte dell’accordo prevede il pagamento in contanti, Mia. Contanti.”
“Quando è successa questa cosa?”
“Ho scoperto solo ieri sera che era definitivo. Sai quanto sa essere riservato Jeffy.”
Questo era decisamente vero, Mia lo sapeva. La tendenza di Jeffrey a nascondere le cose e l’insaziabile curiosità che invece contraddistingueva lei erano un caso più che eloquente di pessima intesa. Ogni volta che si trovava a ronzare attorno al cognato, Mia provava sempre un irrefrenabile impulso a guardare il suo telefono o il suo computer. Si chiese chi avesse trovato di così disposto a consegnargli in mano un mucchio di soldi. A volte era preoccupata per Brynn.