Poi, sulla gronda del tetto, a tocca e non tocca dal suo davanzale, crescevano tra le commettiture degli embrici, alcuni cespi di semprevivo e d'altre erbe di facile contentatura. Il botanico ci aveva la sua occupazione. E quella finestra gli piacque, e fece proponimento di passare le sue ore di svago piuttosto lassù, che per le vie di Torino. Già, con quel suo giubbone addosso, non c'era da godersela troppo in istrada. Così, salvo le ore di università e di biblioteca, che lo tenevano fuori di casa, il suo spasso era questo, di starsene qualche ora al balcone, a veder crescere le sue pianticelle, seminate dal caso, e a guardare i servitori del palazzo che davano le loro ripulite.
E non era soltanto la gente di servizio che si facesse vedere laggiù. La seconda mattina che Filippo Bertone s'era affacciato al suo abbaino (perchè così e non altrimenti bisogna chiamarlo), da una di quelle finestre dei palazzo, che in tutto il rimanente della giornata soleva esser chiusa, gli era apparsa una bella signora, alta della persona, dal volto sereno, e di regolari fattezze; bianca come un giglio, o, se vi torna meglio, come una gardenia, di cui la sua carnagione aveva infatti i soavi riflessi perlati. L'aspetto a tutta prima poteva dirsi altero; ma il cuore doveva esser buono, e l'animo gentile, poichè ella si era fermata un tratto a guardare con affettuosa cura alcune pianticelle fiorite che ornavano il suo davanzale, e venuta poi nel vano della porta finestra che metteva sul ballatoio, aveva parlato con garbo amorevole ai servi, che stavano ad udirla con rispettosa attenzione. La bontà e la gentilezza non si nascondono; spirano dal volto, trapelano da ogni atto più lieve, e non è mestieri che si manifestino colle parole.
La leggiadra apparizione era durata pochi minuti, troppo pochi pel giovane studente, che la contemplava ammirato, e con quella trepidanza inesplicabile, che cela qualche volta il presentimento.Oh, se ella guardasse in alto!pensava Filippo tra sè.Darei non so che cosa, perchè ella guardasse in alto e mi lasciasse vedere i suoi occhi.
E tuttavia, poco stante, per una di quelle contraddizioni così frequenti nelle anime timide, egli avrebbe voluto essere lontano, molto lontano, dal suo modesto davanzale. La signora aveva alzato gli occhi a guardare il cielo. Niente di più naturale, ma nel guardare il cielo i suoi occhi s'erano incontrati nell'abbaino e s'erano posati un istante sulla pallida faccia di Filippo Bertone.
L'antichità, immaginosa e proclive a stampare in forme sensibili tutto ciò che le passava per la mente, ha significato in parecchi modi l'impressione fatta, anzi, per dire più veramente, il suggello lasciato sul volto da qualche aspetto gradito, o spiacevole, invocato o temuto. Questi a guardare una bella faccia, senz'altro difetto che i capegli un pochino arruffati (e azzuffati) sul fronte, ci rimaneva di sasso, laddove noi, gente più agguerrita, rimarremmo a mala pena di stucco; quegli, a vederne troppo da vicino un'altra, ne riportava per tutta la vita incomodi segni sul capo; un terzo ne usciva trasfigurato e faceva anco la sua volatina a mezz'aria.
Io non dico come uscisse Filippo Bertone da quello incontro dei più begli occhi che ancora gli fosse toccato di vedere in questa valle di lacrime. Certo, il suo abbaino gli dovette parere un po' stretto e un po' basso, per contenere tanta felicità. E notate, anche la trasfigurazione ci fu; quella del sullodato abbaino, che dopo quel giorno apparve agli abitanti in excelsis, incoronato di fiori. Filippo Bertone avrebbe voluto metter là tutto il meglio della flora a lui nota, come a dire argirèe, ipomèe, ed altri stupendi esemplari della famiglia delle convolvulacee; nè avrebbe indietreggiato davanti al sacrifizio di qualche lira di più, per adornare le imposte del suo finestrino coi tralci rampicanti d'una bignonia, che facesse ricadere leggiadramente a grappoli i suoi fiori d'un bel roseo di porpora. Ma il giovine botanico non istette molto a ricordarsi che si era in novembre, a Torino, e che il suo tetto non era una stufa; laonde, si contentò di alcune piante più umili e meno costose, che tuttavia riuscirono ad abbellire il suo nido.
Quando ella tornerà alla sua finestra e guarderà in alto,pensava lo studente,non le dispiacerà questo poco di verde.
Ma la signora, il giorno dopo, non era più comparsa a quella finestra del secondo piano, nè ad altra del palazzo senza nome. E nemmeno comparve i giorni seguenti, con grande rammarico di lui, che era rimasto più del solito in casa.
Che cosa vorrà dire?domandava egli a sè stesso.Già, capisco, da questa parte son tutte camere di servizio, e non ci avrà occasione di venirci di sovente. Basta, aspetteremo. È comparsa di sabato, e quest'oggi è martedì; chi sa che sabato non torni?
Egli dunque aveva ancora tre giorni buoni da aspettare, quando Nicolino Ariberti si inerpicò sulla vetta del piccolo Sinai. Filippo stava seduto presso la finestra, con un trattato d'osteologia tra le mani, per studiarvi la interna struttura di questo bel mobile che è l'uomo. Sul davanzale aveva un quaderno, nel quale veniva man mano facendo le sue annotazioni, compendio e ricordo di ciò che leggeva. Ho già detto che i libri non erano suoi. Del resto, quegli appunti quotidiani erano un ottimo espediente per fissar meglio in capo le cose lette, e all'uopo per rinfrescar la memoria.
Ariberti fece un'entrata chiassosa, anzi una vera irruzione, in quel nuovo domicilio dell'amico. Per fermo il nostro Nicolino mirava a far dimenticare il suo tradimento di quella mattina. Ma Filippo, o non ci aveva badato più che tanto, o era magnanimo d'indole e perdonava cosiffatte debolezze agli amici; fatto sta che accolse il nuovo venuto con un sorriso, quantunque gli capitasse ad un'ora un po' incomoda e lo distogliesse dal suo osservatorio.
Ma sai che si sta bene qui?gridò l'Ariberti, dopo aver abbracciato con uno sguardo la camera, dal pavimento al soffitto.
Sì, ne sono abbastanza contento.
E, come dunque hai potuto dire alla signora Paolina che rimpiangevi il tuo vecchio canile della via Argentieri? Già, capisco; lo avrai fatto per politica. per complimento.
No, ti giuro;disse Filippo arrossendo;sulle prime la mi piaceva poco.
Ed ora.
Ora mi ci sono avvezzato.
Avvezzato? Oh, oh! Tu ne parli come faresti d'una prigione. Vediamo un po' la inferriata. Non ce n'è; tu sei libero, padrone padronissimo di allungare il collo fuori del tuo abbaino, a contemplare gli amori dei gatti. Ah, ecco un paese di cristiani! Una corte spaziosa, con scuderia! Ci abita della gente per la quale. Bene, bene, Tu mi diventi un aristocratico, Filippo.
Vieni; ti fo vedere i miei libri;entrò a dire quell'altro, cercando di tirarlo via dalla finestra.
Sì, vengo; lasciami dare un'occhiata a questi fiori. Chi si occupa del tuo orto botanico? La padrona o la serva?
Io stesso,rispose Filippo,che era sulle spine.
Come sai, studio medicina, e la botanica
Ah sì, è vero; ma perchè diamine non studiar legge?
Caro mio, se tutti gli uomini dovessero averci i medesimi gusti, povero mondo! Del resto, quello dell'avvocato è un mestiere da signori. Io sono un Giovanni Senzaterra, e poco o molto che sia, debbo cercare di guadagnar subito il pane quotidiano.
Ah, povero Filippo, non ci pensavo; perdonami.
Non c'è bisogno;soggiunse egli, sorridendo malinconicamente.Io non arrossisco mica d'esser povero. Penso spesso alla mia condizione, è vero; ma credimi, se non fosse che in questi anni di studi io costerò troppo gravi sacrifizi a mio padre, il pensiero della mia povertà non sarebbe senza una certa allegrezza.
Oh, questo, poi.
Orbene, e perchè no? Povertà il più delle volte è libertà. Non intendo già che si abbia a morire di fame; che allora si è schiavi del capriccio di tutti. Parlo della povertà di uno che vive lavorando, che non può vivere altrimenti, che ha da passare ogni giorno coll'arte sua per le mani. Qual'è libertà migliore di questa, che ti rende padrone dell'anima tua contro le passioni e contro i vizi, perchè non ti dà tempo per le une e non ti offre materia per gli altri? E poi, dove metti tu la felicità di non aver sopraccapi per le tue rendite, poste in forse da una cattiva annata, o da un diluvio di fallimenti, e insidiate da una o più categorie di persone, che farebbero volentieri a spartire? Vedi; sei tu il tuo cassiere, e non c'è pericolo che tu pigli il volo per Francia o Svizzera; sei anche il proprio intendente, e non ti rubi a man salva; il tuo portiere, e dormi magari coll'uscio aperto, senza paura dei ladri. Metti pure che la tua nave dia nelle secche; se scampi dal naufragio, sei ricco come prima, avevi tutto con te.