I disagi della vita di montagna per lui sono nulla, il suo animo buono, generoso tutto dimentica e sentusiasma, quando ode dire da chi Egli compensa largamente per qualche servizio resogli: «Monsieur, me donne trop, cela ne vaut pas tant», e non sogna che di ritornare presto fra quella gente.
Nel 1868 lo troviamo a Courmayeur, a Varallo, ad Alagna, sempre traversando colli; poi sul Monte Generoso e di là per Verona, a Neumarkt, fra le Dolomiti, a Predazzo, a Paneveggio, sul Passo di Vallès, a Forno di Canale, ad Agordo e ritornare pel Passo di S. Pellegrino di nuovo a Neumarkt, di dove prosegue per Innsbruck, Monaco, ecc. ecc.
Ed in ogni suo viaggio nota e giudica quanto vede, ed in questo, ad esempio, loda come sono tenute le foreste e le strade nel Trentino, biasima invece il modo col quale facevano servizio le diligenze.
Volendolo seguire nelle sue escursioni avrei qui da riempire molte pagine, e ripetermi molte volte, poichè in sì lungo volgere danni visitò a più riprese quei siti, la cui bellezza maggiormente lo aveva colpito. Aggiungerò soltanto che intervenne a quasi tutte le numerose gite sociali della Sezione di Firenze, compiutesi durante la sua presidenza, visitò più volte le Alpi Apuane e lAppennino Toscano e Romano, ecc., non limitandosi alle Alpi che cingono lItalia, da lui tutte sinceramente amate e tanto, da soffrirne quando qualche regione era lasciata nelloblio. Lo sentiamo perciò, anni addietro, lagnarsi quando le Alpi Marittime erano trascurate ed esporci in un articolo pubblicato sulla «Rivista Mensile» quali sono le opere eseguite dai francesi sul loro versante onde attirarvi i viaggiatori, insistendo perchè le Sezioni della Riviera sassumessero limpresa di promuovere i miglioramenti necessari alle strade, ai sentieri, agli alberghi, ecc. ecc., coadiuvando in tal modo «con tutte le forze loro questopera di riparazione verso tanta parte di regione montana lasciata in un abbandono poco giustificato.»
Era pur solito a seguire nei loro giri tutti i Congressi Alpini che fin dai primi tempi raccomandò con insistenza si tenessero fra i monti, poichè quello era lunico campo sul quale, sparita ogni differenza di regione, dovevano gli alpinisti italiani conoscersi ed affratellarsi.
Quantunque non avesse salite alte vette, non fosse un «grimpeur», era però un vero alpinista, nel senso più puro ed elevato della parola. Egli non vedeva nelle alte ascensioni una stranezza, una specie di pazzia, come qualcuno anche oggi le dice; voleva anzi che la gioventù si dedicasse a queste grandi e nobili imprese, comei le chiamava, e più duna volta nei suoi discorsi, ed in special modo al Congresso di Varallo, insistè sulla utilità di tali gite e sulla necessità di rinvigorire la nostra fibra, compiacendosi di portare ad esempio i suoi connazionali che nella forza del corpo trovano nuova forza della mente, convinto che lo sviluppo del Club avrebbe aiutato molto il rinnovamento fisico e morale della nostra nazione.
Ed oggi più che mai, in questi critici momenti, quella tipica figura che si mantenne giovane di corpo, di mente e di cuore sino alla morte, avrebbe resi nuovi e sempre maggiori servigi, scuotendoci dallapatia collautorità sua e spronandoci sulla via del bene collentusiasmo sincero, inesauribile, che solo possiede chi è profondamente convinto della bontà dellidea che sostiene.
Mente elevata ed energica, Egli nei monti non vedeva soltanto picchi da salire, ma in loro riassumeva, personificava pensieri ben più alti delle punte imbiancate dalla neve eterna, ritenendoli non fine ad uno scopo, ma mezzo per raggiungere ideali altissimi, sublimi.
Figlio dun paese libero, legato allItalia da vincoli daffetto, predicava lalpinismo come palestra nella quale ogni italiano avrebbe dovuto imparare a lottare, plasmando nei duri cimenti col monte un saldo carattere nazionale, che valesse un giorno a cancellare quelle meschine separazioni da regione a regione, frutto di lunga servitù. Era unItalia forte e libera che egli sognava, erano Italiani intelligenti, attivi, che desiderava vedere, ma voleva fossimo Italiani solo, nullaltro che Italiani.
Quindi con Felice Giordano si fece iniziatore della prima riunione annuale tenutasi nel 1868 in Aosta sotto la sua presidenza ed intervenne poi a quasi tutti i Congressi Alpini, chei riteneva, come già dissi, efficacissime occasioni per viemmeglio unirci.
Per lui, quella dellalpinista doveva essere una santa missione, ed io rammento che molte volte mi diceva di ricordarmi sempre quando fossi di passaggio per le alte Alpi, ove lungi dal mondo vive segregata tanta povera gente, di dirle una buona parola o darle un consiglio, procurando di parlare un linguaggio che potesse essere compreso, che valesse a diradare alquanto le tenebre che annebbiano quelle ruvide intelligenze.
Animo pio e generoso, innanzi agli spettacoli sublimi della natura, il suo cuore non dimenticava mai i poveri montanari; tante bellezze non soffocavano in lui il sentimento della pietà, anzi lo acuivano, ed Egli sentiva quanto enorme era il contrasto fra il grandioso spettacolo che ammirava e la miseria di tanti infelici condannati a vita sì triste. Eccolo quindi venire a loro, lentamente spiegare in linguaggio dolce e mite quanto bene potrebbero ritrarre da più razionali colture, unendosi in associazioni, procurando di migliorare questa o quella produzione, costruendo sentieri, riparando le vie di accesso ai principali centri alpini, munendo di linde camerette le luride cantine e trattando cortesemente i pochi forestieri che cominciavano a visitare le alte valli. E se le sue parole non furono dapprima comprese, non se ne sgomentò. «Quanto non si è ottenuto oradicevasi otterrà un altranno, non mhanno ancor capito». Ed eccolo nuovamente col sorriso sulle labbra, non più straniero a quelle genti che soccorreva anche con denaro, ritornare a loro, guadagnarsene le simpatie, persuaderle.
Convinto che lo studio dei monti, promovendo frequenti gite, finirebbe col risvegliare negli alpigiani la volontà di meglio conoscerli, Egli riteneva necessario ottenere che mettessero da parte quella diffidenza innata che osteggia lattuazione di molti progetti, facendo loro capire che esistono realmente società di uomini disinteressati e generosi, i quali con studi e ricerche tentano di far apprezzare il loro paese. Raccomandava quindi agli alpinisti di essere cortesi e gentili, di prendere la più gran cura in special modo nei paesi maggiormente abbandonati, di non urtare le suscettibilità anche delluomo il più povero, onde fosse più facile il compimento della nobile idea.
Il suo affetto per gli abitanti dei monti lo aveva reso entusiasta di quegli oscuri benefattori della umanità che sono i parroci di montagna, intenti a sacrificarsi pel bene di quelle popolazioni. Egli non può trattenersi, nei suoi scritti, dallesprimere ammirazione per loro e dal deplorare che, mentre «sinnalzano ovunque monumenti a grandi ministri, a valenti generali, a celebri predicatori, lo zelante benefattore del suo villaggio è raramente ricompensato, ed alla sua morte neppure una pietra ricorda alla posterità i tentativi incessanti da lui fatti per introdurre qualche utile innovazione nel suo paesello, e qualche po di luce nelle menti più scure.» Quindi egli ricorda soventi i nomi di questi uomini valorosi che dedicano intiera la loro esistenza al bene delle alte valli e sono lieti di porsi a disposizione anche degli alpinisti, quando per avventura passano in quei paesi dimenticati.
E questo suo amore pei montanari lo porta ad interessarsi in modo speciale delle guide, i compagni, gli amici degli alpinisti. Egli vorrebbe vederle organizzate ed istruite, ed è perciò che nel 1870, durante una gita da lui fatta a Valtournanche collAbate Gorret, le raduna, cerca convincerle e se pure non può dirsi che quel giorno sia riuscito nel suo intento, riuscì certo a far comprendere quanto fossero giuste le sue parole, che in epoca non lontana portarono poi benefici frutti.