Морган Райс - Destino Di Draghi стр 8.

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Con gli occhi pieni di lacrime Firth si voltò e corse via dalla stanza. I suoi passi echeggiarono in lontananza mentre correva lungo il corridoio.

Gareth tornò a pensare alla spada, al suo tentativo fallito. Non poteva fare a meno di sentirsi come se avesse innescato un grave danno verso se stesso. Si sentiva come se si fosse appena spinto da solo giù da una scogliera, e come se da quel momento in poi avesse visto il suo crollo e basta.

Rimase lì, incollato al pavimento di pietra nel silenzio rimbombante, nella camera che era stata di suo padre, tremando, chiedendosi cosa mai avesse messo in moto. Non si era mai sentito così solo, così insicuro di se stesso.

Significava questo essere Re?

*

Gareth risaliva velocemente la scala a chiocciola in pietra, salendo di piano in piano dirigendosi verso il terrazzo più alto del castello. Aveva bisogno di aria fresca. Aveva bisogno di spazio e tempo per pensare. Aveva bisogno di un punto di osservazione sul suo regno, un’occasione per vedere la sua corte, la sua gente, per ricordare che era tutto suo. Che, nonostante gli eventi infausti della giornata, lui era dopotutto ancora Re.

Aveva congedato i suoi servitori e procedeva da solo gradino dopo gradino, respirando affannosamente. Si fermò a uno dei piani e si piegò per riprendere fiato. Aveva il volto rigato di lacrime. Continuava a vedere il volto di suo padre che lo guardava minacciosamente ad ogni svolta.

“Ti odio!” gridò all’aria.

Fu quasi certo di udire in risposta una risata derisoria. La risata di suo padre.

Gareth doveva andarsene da lì. Svoltò e continuò a salire, velocissimo, fino a che alla fine raggiunse la cima. Oltrepasso rapidamente la porta e la fresca aria estiva lo colpì in volto.

Respirò a fondo, riprendendo fiato, felice per la splendida luce del sole e il calore della brezza. Si tolse il mantello, il mantello di suo padre, e lo gettò a terra. Faceva troppo caldo, e non voleva più indossarlo.

Corse al parapetto e si aggrappò al muro di petra, ancora col fiato lungo, osservando la corte sotto di lui. Poteva vedere la folla infinita che usciva dal castello. Stavano lasciando al cerimonia. La sua cerimonia. Poteva percepire il loro disappunto anche da lassù. Sembravano così piccoli. Era stupito che fossero tutti sotto il suo controllo.

Ma per quanto lo sarebbero stati?

“La regalità è una cosa strana,” disse una voce antica.

Gareth si voltò di scatto e vide con sorpresa che Argon si trovava lì, a pochi passi da lui, con indosso un mantello bianco con il cappuccio e il suo bastone in mano. Lo fissava con un sorriso agli angoli della bocca, sebbene i suoi occhi fossero tutt’altro che ridenti. Brillavano, lo perforavano e lo innervosivano. Vedevano troppo.

C’erano così tante cose che Gareth avrebbe voluto dire ad Argon, che avrebbe voluto chiedergli. Ma ora che aveva fallito nel sollevare la spada, non riusciva a ricordarsene neanche una.

“Perché non me l’hai detto?” piagnucolò Gareth con la voce carica di disperazione. “Avresti potuto dirmi che non sarei riuscito a sollevarla. Avresti potuto risparmiarmi la vergogna.”

“E perché avrei dovuto farlo?” chiese Argon.

Gareth si accigliò.

“Non sei un vero consigliere del Re,” disse. “A mio padre avresti dato il consiglio giusto, ma con me non l’hai fatto.”

“Forse lui meritava consigli giusti,” rispose Argon.

Gareth si infuriò ancor più. Odiava quell’uomo. E lo biasimava.

“Non ti voglio in mezzo ai piedi,” gli disse. “Non so perché mio padre ti abbia assoldato, ma io non ti voglio nella Corte del Re.”

Argon rise, una risata vuota e spaventosa.

“Tuo padre non mi ha assoldato, stupido ragazzo,” disse. “E neanche suo padre prima di lui. Era destino che io fossi qui. Sarebbe più corretto dire che io ho assoldato loro.”

Argon fece improvvisamente un passo avanti, sembrava che stesse guardando Gareth nell’anima.

“Si può dire lo stesso di te?” chiese Argon. “È destino che tu sia qui?”

Le sue parole colpirono Gareth e gli fecero scorrere un brivido lungo il corpo. Era proprio la cosa che Gareth si stava chiedendo. Si chiese se si trattasse di una minaccia.

“Colui che ottiene il regno con il sangue, governerà nel sangue” sentenziò Argon, e dette queste parole  si voltò di scatto e si incamminò per andarsene.

“Aspetta!” gridò Gareth, non più desideroso che se ne andasse, ma piuttosto bisognoso di risposte. “Cosa intendi dire?”

Gareth non poteva fare a meno di percepire che Argon gli stesse mandando un messaggio, che gli stesse dicendo che non avrebbe regnato a lungo. Ora doveva sapere se era proprio questo che intendeva dire.

Gareth lo rincorse, ma proprio mentre gli si stava avvicinando, Argon scomparve davanti ai suoi occhi.

Gareth si voltò, si guardò attorno ma non vide nulla. Udì solo una risata vuota che risuonava da qualche parte, sospesa nell’aria.

“Argon!” gridò.

Si voltò di nuovo, guardò verso il cielo cadendo su un ginocchio e buttando indietro la testa. Quindi strillò: “ARGON!”

CAPITOLO SETTE

Erec camminava insieme al Duca, a Brandt e a una decina di uomini del Duca percorrendo i vicoli intricati di Savaria, con la folla che cresceva man mano che loro procedevano, diretti verso la casa della ragazza. Erec aveva insistito per poterla incontrare senza ulteriori esitazioni e il Duca aveva voluto fargli strada personalmente. E ovunque andasse il Duca, la gente lo seguiva. Erec si guardò attorno scrutando la corposa e crescente brigata e si sentiva imbarazzato rendendosi conto che sarebbe giunto di fronte alla dimora della ragazza con decine di persone al seguito.

Da quando l’aveva vista, Erec non era stato capace di pensare ad altro. Si chiedeva chi fosse quella giovane dall’aspetto così nobile che lavorava come servitrice alla corte del Duca. Perché era fuggita da lui così frettolosamente? Perché era successo che, dopo tutti quegli anni e con tutte le donne di alto lignaggio che aveva incontrato, proprio quella gli avesse rapito il cuore?

Avendo frequentato le famiglie reali per tutta la vita, essendo figlio di un re lui stesso, Erec era in grado di riconoscere qualsiasi membro di una famiglia reale all’istante. E dal primo momento in cui l’aveva vista aveva avuto la sensazione che appartenesse a un livello molto più elevato di quello che apparentemente ricopriva. Bruciava dalla curiosità di sapere chi fosse, da dove venisse e cosa ci facesse lì. Aveva bisogno di un’altra occasione di vederla, di vedere se si era immaginato tutto o se le cose erano veramente così.

“I miei servitori dicono che vive alla periferia della città,” spiegò il Duca mentre camminavano. Mentre procedevano la gente da ogni parte della strada apriva le finestre e guardava verso il basso, tutti sorpresi per la presenza del Duca e il suo seguito in strade così comuni.

“Pare sia la servitrice di un oste. Nessuno sa nulla delle sue origini o da dove venga. Si sa solo che un giorno è giunta nella nostra città ed è diventata una servitrice vincolata contrattualmente per questo locandiere. Il suo passato è un mistero.”

Svoltarono tutti in un’altra strada laterale. I ciottoli sotto i loro piedi divennero più irregolari, le piccole abitazioni più vicine l’una all’altra e dall’aspetto sempre più fatiscente man mano che avanzavano. Il Duca si schiarì la voce.

“L’ho assoldata come servitrice presso la mia corte per un’occasione speciale. È una persona tranquilla e se ne sta sulle sue. Nessuno sa molto di lei. Erec,” disse infine il Duca appoggiandogli una mano sul polso, “sei certo di quello che stai facendo? Questa donna, chiunque lei sia, è semplicemente una paesana come un’altra. Tu potresti scegliere qualsiasi altra donna del regno.”

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