Морган Райс - Amata стр 9.

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Nel suo territorio.

Lui lo avrebbe ricordato per secoli a venire.

Il solo pensiero fece scoppiare a ridere Kyle sonoramente, sebbene, per via delle sue espressioni facciali, la risata somigliasse più a un ringhio.

Doveva riferirlo al suo Rexius, il leader del suo covo naturalmente, ma si trattava di un semplice dettaglio. In realtà, sarebbe stato lui a guidare il tutto. Le migliaia di vampiri del suo stesso covo —e di tutti i covi vicini—avrebbero dovuto rispondere a lui. Sarebbe stato più potente di quanto fosse mai stato.

Kyle già sapeva come diffondere la peste: avrebbe portato un carico a Penn Station, uno a Grand Central e uno a Times Square. Tutto perfettamente cronometrato, e tutto all'ora di punta. Questo avrebbe davvero scatenato il tutto. Nell'arco di pochi giorni, stimò, metà Manhattan sarebbe stata infettata, e nel giro di un'altra settimana, tutti lo sarebbero stati. Questa peste si sarebbe diffusa rapidamente, e, grazie al modo che aveva ideato, si sarebbe diffusa per via aerea.

I patetici esseri umani avrebbero blindato l'intera città, naturalmente. Chiudendo ponti e tunnel. Chiuso il traffico aereo e marittimo. Ed era proprio questo che lui voleva. Si sarebbero rinchiusi nel terrore che sarebbe seguito. Con gli uomini chiusi dentro, a morire di peste, Kyle ed le sue migliaia di compagni avrebbero generato una guerra di vampiri, ossia qualcosa a cui la razza umana non aveva mai assistito. Era solo una questione di giorni, avrebbero spazzato via tutti gli abitanti di New York.

E allora la città sarebbe stata loro. Non solo il sottosuolo, ma anche sopra il livello del suolo. Sarebbe stato l'inizio, la sirena avrebbe suonato per ogni covo in ogni città, in ogni paese. Nell'arco di settimane, l'America sarebbe stata loro, se non il mondo intero. E Kyle sarebbe stato colui che aveva dato inizio a tutto. Sarebbe stato ricordato. Colui che aveva portato la razza vampira sopra il livello del suolo per sempre.

Naturalmente, avrebbero sempre trovato il modo di utilizzare i restanti umani. Avrebbero schiavizzato i sopravvissuti, radunandoli e rinchiudendoli in enormi allevamenti. Kyle si sarebbe goduto la cosa. Si sarebbe assicurato di tenerli tutti cicciottelli e grassi, e poi, quando la sua razza fosse stata affamata, avrebbe avuto un'immensa varietà di esemplari tra cui scegliere. Tutto era perfettamente programmato. Sì, gli umani sarebbero stati dei buoni schiavi. E un pasto alquanto succulento, se allevati in modo appropriato.

Kyle salivò al pensiero. Dei grandi momenti lo attendevano. E nulla lo avrebbe ostacolato.

Nulla, tranne forse, il dannato covo Bianco, protetto dai Chiostri. Sì, sarebbero stati una spina nel fianco per lui. Ma non un particolare pericolo. Una volta che egli avesse trovato quell'orribile ragazza, Caitlin, e quel traditore rinnegato, Caleb, lo avrebbero condotto alla spada. E poi, il covo Bianco sarebbe stato indifeso. Nulla sarebbe rimasto sulla loro strada.

Kyle si fece cogliere dalla rabbia, mentre pensava a quella stupida ragazzina, riuscita a sfuggirgli. Si era presa gioco di lui.

Si diresse a Wall Street, e un passante, un uomo grosso, ebbe la sfortuna di andare nella sua direzione. Quando le loro vie s'incrociarono, Kyle scontrò la sua spalla con quella dell'uomo,e quello gli fu sufficiente. L'uomo incespicò all'indetro di alcuni metri, finendo contro un muro.

L'uomo, che indossava un bell'abito, gridò, “Hey amico, che problema hai!?”

Ma Kyle sogghignò, e l'espressione dell'uomo cambiò. Con i suoi 196cm, le spalle larghe e un fisico muscoloso, Kyle non era certo un uomo da sfidare. Il passante, nonostante la propria taglia non disprezzabile, si voltò velocemente e continuò a camminare. Sapeva che era meglio per lui.

Aver scontrato l'uomo lo aveva fatto sentire un po' meglio, ma la rabbia di Kyle ancora montava dentro. Voleva acciuffare quella ragazza. E ucciderla lentamente.

Ma ora non era il momento. Doveva schiarirsi le idee. Aveva cose più importanti di cui occuparsi. Il carico. Il pontile.

Sì, prese un profondo respiro, e di nuovo sorrise lentamente. Il carico distava solo pochi isolati.

Quello sarebbe stato il suo giorno di Natale.

CAPITOLO CINQUE

Sam si svegliò con un tremendo mal di testa. Aprì un occhio, e si rese conto di essere caduto sul pavimento del fienile, tra il fieno. Faceva freddo. Nessuno dei suoi amici si era occupato di tenere il fuoco in vita la notte precedente. Erano tutti troppo fatti.

Peggio ancora, la stanza stava ancora girando. Sam sollevò la testa, estraendosi un pezzo di fieno dalla bocca, e sentì un terribile dolore alle tempie. Aveva dormito in una strana posizione, e il collo gli faceva male se lo piegava. Spalancò gli occhi, cercando di eliminare tutte le ragnatele, ma non andavano via facilmente. Aveva davvero esagerato la notte precedente. Ricordava il bong. Poi, la birra, poi il Southern Comfort, poi ancora birra. Fumare. Poi dell'altra erba, per facilitare il tutto. Poi il black out, da qualche parte durante la notte. Quando o dove, davvero non riusciva a ricordare.

Aveva fame e nausea allo stesso tempo. Sentiva che avrebbe potuto mangiare un'intera pila di pancake e una dozzina di uova, ma gli veniva anche da vomitare. Infatti, avrebbe potuto farlo in quel momento.

Cercò di riassemblare tutti i dettagli del giorno precedente. Si ricordò di Caitlin. Poi, non potè dimenticare. Era stato ciò che lo aveva messo sottosopra. Il suo apparire lì. Il colpire Jimbo in quel modo. Il cane. Che diavolo? Era successo davvero?

Osservò la stanza e vide il buco sul lato della parete, che era stata attraversata dal cane. Avvertì l'aria fredda passarvi attraverso, e sapeva che era accaduto per davvero. Non sapeva sul serio che cosa fare. E chi era quel tipo con lei? Sembrava un difensore dell'NFL, ma era pallido come un morto. Sembrava essere appena uscito fuori da Matrix. Sam non riusciva davvero a stabilirne l'età. La cosa singolare era che il ragazzo sentiva come la strana sensazione di averlo conosciuto da qualche parte.

Sam si guardò intorno e vide tutti i suoi amici distesi in varie posizioni; la maggioranza russava ancora. Raccolse il suo orologio dal pavimento e vide che erano le 11 del mattino. Sarebbero rimasti a dormire ancora per un po'.

Sam attraversò il fienile e afferrò una bottiglia d'acqua. Voleva bere, ma quando ci guardò all'interno, vide che era piena di cicche di sigarette. Disgustato, la mise via, e ne cercò un'altra. Con la coda dell'occhio, vide una caraffa mezza piena sul pavimento. L'afferrò e bevve, e non smise finchè non fu quasi vuota.

Ciò lo fece sentire meglio. La gola era così secca. Prese un respiro profondo e portò una mano a una tempia. La stanza stava ancora girando. C'era cattivo odore lì dentro. Doveva uscire.

Sam attraversò la stanza e spinse la porta del fienile, per aprirla. La fredda aria del mattino lo faceva sentire bene. Per fortuna, quel giorno il cielo era nuvoloso. C'era ancora una luce fortissima, e lui strizzò gli occhi. Ma non così forte come avrebbe potuto essere. E la neve stava cadendo di nuovo. Grandioso. Altra neve.

Una volta a Sam piaceva la neve. Specialmente i giorni nevosi, quando poteva restare a casa saltando la scuola. Ricordò di quando andava con Caitlin in cima alla collina, scivolando con lo slittino per mezza giornata.

Ma ora, saltava la scuola la maggioranza delle volte, perciò non faceva davvero la differenza. Ora, era soltanto un'enorme rottura di scatole.

Sam si mise la mano in tasca ed estrasse un pacchetto di sigarette tutto stropicciato. Ne prese una, se la portò alle labbra e la accese.

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