Морган Райс - Giuramento Fraterno стр 7.

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Un grido di esultanza di levò e Godfrey vide un nobile dell’Impero esaminare la mandibola di uno schiavo, uno schiavo con pelle bianca e lunghi capelli filamentosi e castani. Il nobile annuì soddisfatto e il supervisore si avvicinò slegando lo schiavo, come se avesse appena concluso una transazione d’affari. Il supervisore afferrò lo schiavo per la camicia e lo gettò giù dalla piattaforma. L’uomo volò colpendo con violenza il suolo e la folla esultò soddisfatta mentre diversi soldati si avvicinavano e lo trascinavano via.

Un altro gruppo di schiavi emerse da un altro angolo della città e Godfrey guardò uno schiavo che veniva spinto in avanti: era il più grande, più alto degli altri, forte e in salute. Un soldato dell’Impero sollevò l’ascia e lo schiavo si preparò.

Ma il supervisore si limitò a tagliare le catene e il rumore del metallo che colpiva la pietra riverberò attraverso il cortile.

Lo schiavo fissò il supervisore, confuso.

“Sono libero?” gli chiese.

Ma diversi soldati accorsero e gli afferrarono le braccia trascinandolo alla base della grossa statua dorata che si trovava nel porto, un’altra statua di Volusia con un dito puntato verso il mare e le onde che si infrangevano ai suoi piedi.

La folla si racchiuse attorno a loro mentre i soldati tenevano l’uomo giù, con la testa spinta in basso, il volto schiacciato contro i piedi della statua.

“NO!” gridò lo schiavo.

Un soldato dell’Impero si fece avanti e brandì nuovamente l’ascia, questa volta decapitando l’uomo.

La folla esultò deliziata e tutti si misero in ginocchio inchinandosi a terra, adorando la statua mentre il sangue scorreva sui suoi piedi.

“Un sacrificio alla nostra grande dea!” gridò un soldato. “Ti dedichiamo il primo e più prelibato dei nostri frutti!”

La folla esultò di nuovo.

“Non so te,” giunse la voce nervosa di Merek all’orecchio di Godfrey, “ma io non ho intenzione di farmi sacrificare per qualche idolo. Non oggi.”

Si udì un altro schicco di frusta e Godfrey vide che l’ingresso alla piazza si faceva sempre più vicino. Gli batteva forte il cuore mentre considerava le parole di Merek, capendo che aveva ragione. Sapeva che doveva fare qualcosa, e velocemente anche.

Godfrey si voltò di scatto: con la coda dell’occhio vide cinque uomini con mantelli e cappucci rosso brillante, che percorrevano velocemente la strada diretto verso di loro. Notò che avevano pelle bianca, mani e volti pallidi, la corporatura più minuta rispetto agli enormi bruti della razza dell’Impero. Capì subito chi erano: Finiani. Una delle migliori doti di Godfrey era quella di ricordare i racconti a memoria, anche se ubriaco. Ricordava di aver ascoltato, nel corso delle passate lune, il popolo di Sandara raccontare storie di Volusia mentre sedevano attorno al fuoco. Aveva sentito la loro descrizione della città, la sua storia, di tutte le razze che erano tenute schiave e dell’unica razza libera, i Finiani. L’unica eccezione alla regola. Gli era stato concesso di vivere liberamente, generazione dopo generazione, perché troppo ricchi per essere uccisi, troppo legati, troppo abili nel rendersi indispensabili e di contrattare nel potere degli affari. Erano facilmente riconoscibili, gli era stato detto, per la pelle pallidissima, i mantelli rosso brillante e i capelli rosso fuoco.

A Godfrey venne un’idea. Ora o mai più.

“MUOVETEVI!” disse ai suoi amici.

Si voltò e scattò in azione, correndo via dal retro del gruppo sotto gli sguardi sorpresi degli schiavi incatenati. Fu sollevato di vedere che gli altri lo seguirono appresso.

Godfrey correva sbuffando, appesantito dalle grosse sacche di oro che aveva alla vita, come anche gli altri, facendole tintinnare mentre si muoveva. Davanti a sé scorse i cinque Finiani che svoltavano in uno stretto vicolo. Corse dritto verso di loro e pregò di poter svoltare nella stradina senza essere scorto dagli uomini dell’Impero.

Godfrey, con il cuore che gli martellava nelle orecchie, svoltò a un angolo e vide i Finiani di fronte a sé. Senza neanche pensarci balzò in aria e atterò sul gruppo alle loro spalle.

Riuscì a bloccarne due a terra, con le costole che gli dolevano per il colpo contro terra mentre rotolava con loro. Sollevò lo sguardo e vide Merek che seguiva il suo esempio e ne bloccava un altro. Akorth fece un salto e ne bloccò al suolo un altro e Fulton balzò addosso all’ultimo, il più piccoletto del gruppo. Ma Godfrey fu seccato di vedere che Fulton mancava il colpo, cadendo ansimante a terra.

Godfrey ne eliminò uno tenendo l’altro fermo a terra, ma si spaventò vedendo che il piccoletto correva, libero, e stava per svoltare all’angolo. Vide poi Ario con la coda dell’occhio che si faceva tranquillamente avanti, raccoglieva una pietra, la esaminava e la lanciava.

Con un tiro perfetto colpì il Finiano alla tempia mentre stava svoltando all’angolo, mandandolo al tappeto. Ario gli corse accanto e lo spogliò della tunica iniziando a indossarla, capendo le intenzioni di Godfrey.

Godfrey, che ancora lottava con l’altro Finiano, alla fine riuscì a dargli una gomitata in faccia e ad annientarlo. Alla fine anche Akorth afferrò il suo Finiano per la camicia e gli sbatté la testa contro il pavimento di pietra, eliminando anche lui. Merek strinse il collo del suo abbastanza a lungo da fargli perdere conoscenza. Poi Godfrey vide Merek rotolare sull’ultimo Finiano puntandogli il pugnale alla gola.

Godfrey stava per gridargli di smettere, ma una voce squarciò l’aria anticipandolo.

“No!” disse la voce seccamente.

Godfrey sollevò lo sguardo e vide Ario davanti a Merek, guardandolo torvo.

“Non ucciderlo!” gli ordinò.

Merek lo guardò accigliato.

“Gli uomini morti non parlano,” disse Merek. “Se lo lascio andare moriremo tutti.”

“Non mi interessa,” rispose Ario. “Non ti ha fatto nulla. Non devi ucciderlo.”

Merek, sprezzante, si alzò in piedi e si portò di fronte ad Ario, fissandolo in volto.

“Sei la metà di me, ragazzino,” gli sibilò contro. “E il ho il pugnale dalla parte del manico. Non tentarmi.”

“Sarò anche la metà di te,” rispose Ario con calma, “ma sono doppiamente veloce. Vienimi vicino e ti strapperò il pugnale dalle mani e ti taglierò la gola prima che tu te ne possa rendere conto.”

Godfrey era stupito da quello scambio di battute, tanto più vedendo quanto calmo fosse Ario. Era una situazione surreale. Non batté ciglio né mosse un muscolo: parlava come se stesse avendo al conversazione più calma al mondo. Questo rendeva le sue parole ancora più convincenti.

Probabilmente Merek la pensò allo stesso modo perché non si mosse. Godfrey capì che doveva separarli, e presto.

“Il nemico non è qui,” disse correndo avanti e abbassando il polso di Merek. “È là fuori. Se litighiamo fra di noi non abbiamo alcuna possibilità.”

Fortunatamente Merek gli premise di abbassargli il braccio e rinfoderò il pugnale.

“Svelti ora,” aggiunse Godfrey. “Tutti voi. Togliete loro i vestiti e infilateveli. Ora siamo Finiani.”

Tutti tolsero gli abiti ai Finiani e indossarono i loro mantelli e cappucci rosso brillante.

“È ridicolo,” disse Akorth.

Godfrey lo esaminò e vide che aveva la pancia troppo grossa ed era troppo alto. Il mantello gli stava corto e gli lasciava le caviglie scoperte.

Merek ridacchiò.

“Avresti dovuto bere un boccale di meno,” gli disse.

“Io questa cosa non me la metto,” disse Akorth.

“Non si tratta di una sfilata di moda,” ribatté Godfrey. “Vuoi che ti scoprano?”

Akorth cedette con riluttanza.

Godfrey rimase a guardare, tutti e cinque con indosso le tuniche rosse, in quella città ostile, circondati dal nemico. Sapeva che le loro possibilità erano ben magre.

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