Морган Райс - Lo Scettro di Fuoco стр 6.

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“La bussola può guidarci!” disse con tono eccitato, sollevando lo sguardo dall’antico strumento di bronzo e osservando gli altri.

“Come funziona?” chiese Simon.

“Mostra il futuro,” disse Esther. “Quindi, se interpretiamo correttamente i simboli, ci guiderà dove dobbiamo andare.”

Walter si accigliò. “Dove dobbiamo andare?” chiese. “O magari semplicemente dove andremo?”

Esther esitò considerando la sua osservazione. Se il gruppo di Oliver aveva imboccato la galleria corretta ed era arrivato nel posto e nel tempo che li avrebbe portati allo Scettro di Fuoco, allora qualsiasi fosse il futuro che attendeva Esther e la sua squadra sarebbe stato decisamente diverso. Però, lo stesso, qualsiasi futuro mostrasse la bussola, era loro destino seguirlo. Anche se non li avesse condotti allo Scettro, li avrebbe portati a qualcosa, e questo per ora le bastava.

Esther decise di non rimuginarci troppo sopra. Non c’era modo di sapere quale squadra fosse atterrata nel posto in cui si era perduto lo Scettro di Fuoco, fino a che non lo avessero stretto in pugno.

Si mise a osservare i simboli. La lancetta principale stava indicando la piccola immagine di un sole. Un’altra indicava un’ancora. Una terza mostrava quella che sembrava essere una figura astratta che lanciava un giavellotto.

Esther si grattò la testa confusa e sollevò lo sguardo verso la desolata area sabbiosa alla ricerca di indizi. Dovette schermarsi gli occhi dalla luce accecante del sole, dato che non c’era nulla che potesse fornire un po’ di ombra, se non qualche albero allampanato e alcune magre capre che stavano pascolando.

“Allora?” chiese Walter. “Dove siamo?”

“Non lo so,” confessò lei.

“Vedo il mare,” disse Simon indicando in lontananza, dove una striscia argentata luccicava all’orizzonte. Strizzò gli occhi. “Sembra un porto pieno di barche. Magari siamo su un’isola? Un qualche centro commerciale?”

“Oh, sì!” esclamò Esther, con la mente che iniziava a mettere insieme qualche tassello. “Questo spiegherebbe l’ancora. Cos’altro abbiamo?”

“Quelli sono degli aranceti?” chiese Simon, indicando una zona più popolata di alberi che erano carichi di arance grosse e brillanti.

Esther annuì. C’era un simbolo corrispondente anche sulla bussola, una macchia arancione, come uno spruzzo di vernice. “Penso che potremmo trovarci da qualche parte nel Mediterraneo,” suggerì.

“In Grecia magari? Questo potrebbe spiegare questo simbolo di qualcuno che lancia un giavellotto. Potrebbe essere connesso all’Olimpo.”

Simon parve animarsi alquanto sentendo nominare la Grecia. “Oh, eccellente lavoro di investigazione, Esther. Allora potremmo essere in Grecia. In che era?”

Ma prima che Esther potesse rispondergli, gli occhi castani di Walter si dilatarono per la paura, mentre lui puntava un dito tremante davanti a sé.

“Cosa… Cosa… Cos’è quello?” gridò.

Con il cuore che batteva forte in petto, Esther si girò di scatto e vide qualcosa di molto grosso e luccicante sotto al sole lucente, che si muoveva su grandi ruote di legno a velocità molto sostenuta, e dritto verso di loro.

“Quella,” disse Esther, non credendo ai propri occhi, “è una biga d’oro!”

C’era un cavallo che tirava la biga, i suoi zoccoli che sbattevano rumorosamente contro il terreno duro. Le grandi ruote di legno cigolavano mentre giravano, spingendo la biga verso di loro a enorme velocità.

Nel giro di un secondo scarso i ragazzi reagirono. Saltarono in direzioni opposte, Esther da una parte e Walter e Simon dall’altra.

Esther atterrò in un canale di scolo. La biga trainata dal cavallo sfrecciò oltre, sollevando una sottile nebbia di polvere tutt’attorno a lei.

Quando il rumore degli zoccoli al galoppo e lo scricchiolio delle ruote iniziarono ad attenuarsi, Esther si sollevò dal suo riparo, scuotendosi e guardando Walter e Simon dall’altra parte della strada. Quando la polvere sollevata dalla biga si fu abbassata, poté vedere che i due erano nuovamente finiti in un ammasso contorto di corpi.

“Levati!” gridò Walter, cercando di spingere via Simon.

“Mi stai pestando la mano!” contestò Simon, spingendo a sua volta.

“Ragazzi!” gridò Esther, balzando in piedi e correndo verso di loro. “Fate silenzio. Penso di sapere dove ci troviamo.”

Guardò lungo il sentiero, fissando la biga dorata che scompariva in lontananza, quasi non credendo a ciò che stava per dire.

“Non siamo semplicemente in Grecia,” annunciò mentre i due ragazzi finalmente si liberavano dal groviglio dei loro stessi corpi e si portavano vicino a lei. “Siamo nella Grecia Antica.”

“La Grecia Antica?” chiese Walter. “Intendi dire…”

“Intendo dire,” disse Esther, voltandosi a guardarli, “che abbiamo viaggiato indietro nel tempo di oltre duemila anni. Siamo nell’a.C.”

CAPITOLO QUATTRO

Oliver cadde fuori dal portale. Hazel gli andò a sbattere contro la schiena. Un attimo dopo, arrivò anche Ralph, colpendoli entrambi.

“Ahi!” sussultarono tutti mentre si ammassavano uno sull’altro.

“State tutti bene?” chiese Oliver, preoccupato per i suoi amici.

Hazel annuì, strofinandosi il gomito con il quale aveva sbattuto contro Ralph. “Sì, ma dove siamo?”

Si guardò attorno. Ralph nel frattempo si stava massaggiando la pancia, il punto dove il gomito di Hazel l’aveva colpito

“Ehi!” disse sgranando gli occhi. “Siamo già stati qui!”

Confuso, Oliver si accigliò e si guardò attorno osservando gli edifici. Erano tutti di tre o quattro piani, ammassati uno all’altro, con facciate piatte e tetti di color terra d’ombra bruciata. C’era la cupola di una cattedrale che incombeva dietro ad essi, gettando la sua ombra su tutto e dominando con la sua presenza. Ralph aveva ragione. C’era qualcosa di familiare in quel posto.

Poi Oliver sussultò quando capì. “Siamo tornati a Firenze.”

Hazel sgranò gli occhi. “Firenze? Dev’essere un errore. Pensi che il professor Ametisto ci abbia mandato di nuovo per sbaglio fino al portale di Leonardo?”

Oliver scosse la testa. “Non penso. I portali di Da Vinci erano rossi. Quelli del professor Ametisto sono viola.”

“Beh, allora forse siamo qui perché Leonardo ci aiuterà di nuovo?” suggerì Ralph. “Magari sa dove si trovi lo Scettro di Fuoco? O può fermare il tempo di nuovo in modo che possiamo trovarlo?”

Ma mentre si guardava attorno, Oliver si rese conto di una cosa. “No. Ci sono molti più edifici di quando siamo venuti a trovare Leonardo. Potrà anche essere lo stesso posto, ma è un’epoca diversa. Non siamo qui per avere l’aiuto di Leonardo. Siamo qui per trovare qualcun altro.”

Per qualche motivo sembrava ancora più strano trovarsi in un posto dove già erano stati prima. Avevano percorso queste strade nella loro missione con Leonardo da Vinci solo poche ore prima. Ma ora si trovavano nelle stesse strade, solo che anni – se non decenni – più tardi. C’era qualcosa di davvero strabiliante e complicato in questo.

“Non può essere tanto dopo, però,” considerò Hazel, picchiettandosi il mento. “Ci sono più edifici, ma sono tutti dello stesso stile architettonico. Non penso che siamo arrivati tanto più in là di un centinaio di anni rispetto a quando siamo stati qui l’ultima volta. Quali altri strabilianti italiani ci ha inviato a trovare il professor Ametisto?”

“Beh, oltre a Da Vinci e Michelangelo,” iniziò Oliver, “c’è ovviamente…”

Ma non riuscì a finire la sua frase, perché in quel momento qualcuno arrivò di corsa da dietro l’angolo e gli andò a sbattere dritto addosso.

“Scusa!” gridò il giovane.

Oliver si rialzò e si lisciò i vestiti stropicciati. “Sto bene, non ti preoccupare.”

Hazel sussultò. “Oliver, stai parlando italiano!”

“Davvero?” chiese Oliver.

Prima che potesse avere una risposta di conferma, il giovane che gli era andato addosso continuò a parlare.

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