Scettica a Salem - Грейс Фиона страница 6.

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“Ti ricordi come abbiamo inibito il PTP1B, Tim?”

“Dovrò dare un occhio ai miei appunti.”

“A me non serve. Abbiamo usato un piccolo peptide, il F2PMP.”

“Certo…”

“… E come abbiamo aumentato la potenza?”

“Ehm, non me lo ricordo,” disse Bagley, la fronte imperlata di sudore. “Con un gruppo fenile?”

“In realtà si è trattato di un gruppo naftalene.”

“Ok, ok,” disse Miles Cameron. “Vedo che lei è brava nel suo lavoro, Bold. Vuole una posizione migliore? È di questo che si tratta? Un piccolo sfogo per ottenere l’attenzione del capo? Per mostrare quanto vale? Va bene. Chiaramente lei è un elemento importante del Centro Farmaceutico. Cosa vuole?”

Mia non aveva idea di cosa rispondere. Gli aveva già detto quello che voleva.

“Vuole il lavoro di Bagley? Nessun problema.”

“Ma sono io il capo,” disse Bagley, tentando di autoconvincersene.

Cameron lo ignorò e continuò a restare concentrato su Mia.

“Posso darle una posizione di maggiore rilievo nella società, farla avanzare velocemente. Entro la prossima primavera farà duecentomila dollari. Ma c’è una condizione. Deve essere d’accordo con il fatto che Phoxy diventerà una pillola dietetica. Altrimenti può prendere le sue cose e andarsene a casa.”

Mia fece un respiro profondo e chiuse gli occhi per controllare la propria rabbia. Quindi era così che lavorava questo tizio. Quando voleva qualcosa, se lo comprava o faceva una minaccia. Ci pensò su un secondo. Voleva prestare fede alle proprie parole? Non era questo il significato di integrità?

“Se lei trasforma Phoxy in una pillola dietetica e abbandona del tutto le prove per il diabete,” disse Mia, “sarò costretta a dare le dimissioni.”

Nigel scosse la testa e le fece segno di stare zitta.

Il sorriso a trentadue denti di Miles Cameron si dissolse e i suoi occhi si colmarono di indignazione.

“L’ha detto lei, Bold!” disse, agitando un pugno in aria come un bambino frustrato, con le gocce di saliva che gli saltavano fuori dalla bocca a ogni parola. “Le risparmio la rogna di doversi dimettere. Tutti sono sostituibili. Lei è licenziata!”

CAPITOLO TRE

Quando Mia ebbe ripulito la sua scrivania e venne accompagnata fuori dall’edificio, era solo mezzogiorno. Prese i suoi bagagli e imboccò la strada pensando a come ammazzare il tempo nelle sei ore che le restavano. Il cielo di Trenton era nuvoloso e minacciava pioggia, quindi si sistemò in uno Starbucks. Mentre aspettava il suo tè verde con latte e la sua schiacciata, ripensò all’orribile scambio intercorso tra lei e Miles Cameron. La maggior parte delle persone avrebbero voluto avere la freddezza mentale necessaria per dire agli altri ciò che realmente pensavano, ma Mia lo faceva sempre. A volte se ne pentiva a posteriori, ma non oggi. Miles Cameron era un bullo. Era contenta di averlo affrontato. Mentre sorseggiava il suo tè, pensò anche alla scomoda verità: aveva perso tanto il suo appartamento che il suo lavoro.

Cosa dovrei fare? si chiese, rendendosi conto di non avere un minimo straccio di piano. Quella constatazione la colpì. Non era una cosa che sua mamma diceva sempre quando era bambina? Ricordava un giorno che erano seduti al tavolo di linoleum della cucina, quando ancora c’era il suo padre naturale, lei con i piedi penzolanti dalla sua sedia, intenta a guardare Frank che beveva il suo caffè e sfogliava le pagine di una rivista.

“Non hai nessun piano, vero?” gli aveva detto sua madre, mentre asciugava una scodella con uno strofinaccio rosso e bianco.

“I piani non fanno che mettere i bastoni tra le ruote alla fortuna, cara,” aveva ribattuto lui. Poi aveva fatto l’occhiolino a Mia. “Su, piccina. Pare che la mamma abbia bisogno di una giornata libera.” Quelle parole significavano sempre che c’era un’avventura ad attenderli.

Per una volta avrebbe voluto essere più come Frank. Sembrava che niente lo preoccupasse mai. Era l’incarnazione del detto latino carpe diem, cogli l’attimo. Per ora le sembrava che fosse stata la giornata a cogliere lei. Ricomponiti, pensò. Non vuoi che Mark ti veda fare così.

“Mia,” chiamò la barista.

Mia prese il suo pranzo e si accomodò a un tavolino. E adesso? Beh, avrebbe dovuto escogitare un piano. Il pensiero di ricominciare da capo in un altro laboratorio la metteva a disagio. Aveva appena passato due anni a lavorare su un medicinale che non avrebbe mai espresso il suo completo potenziale. E poi il lavoro di laboratorio non era la sua passione: non quanto scrivere e fare ricerca per i suoi podcast, cosa che invece adorava.

Aprì il portatile per fare un po’ di lavoro. Aveva appena completato un’enorme ricerca sulla presunta presenza di strani fenomeni vicino a un elettrodotto. Ora doveva solo stendere il copione con cui presentare la sua teoria: che gli avvistamenti di fantasmi erano allucinazioni provocate dai potenti campi elettrici. All’inizio aveva i nervi troppo tesi per potersi concentrare, ma dopo poche pagine, prese il giusto ritmo della scrittura. Poche ore dopo, il suo telefono vibrò e le arrivò una fiumana di emoji.

Omino che corre – Auto – Cartello autostrada – Occhi – tu – 18.

Ok, ci vediamo dopo, gli rispose.

Magari stasera Mark avrebbe finalmente fatto il Prossimo Passo. Il pensiero di un futuro a fare ciò che adorava, con il suo fidanzato al proprio fianco, era meraviglioso. Se avessero preso casa insieme, Mia avrebbe potuto trasformare i suoi podcast in un vero lavoro e dedicare più tempo alla commercializzazione della cosa. Era riuscita a piazzare Appuntamento con l’occulto, perché non anche Appuntamento con il vampiro e Appuntamento con la strega? Non si sarebbe fatta scappare mai più la scadenza di un’inserzione. Lavorare a tempo pieno a The Vortex sarebbe stato una sfida, ma l’idea l’emozionava. Amava fare podcast, e voleva davvero provarci. L’unico problema era che Mark non era proprio un tipo risoluto. Di certo era diventato più ambizioso da quando si erano conosciuti. Ma in modo molto simile a Frank, quando si trattava di fare dei programmi, anche Mark si tirava sempre indietro. Forse perdere il suo lavoro era solo la spinta di cui la loro relazione aveva bisogno. Di sicuro ora si sarebbe fatto avanti per aiutare la sua ragazza. Mia si rese conto che tutto il suo futuro sarebbe stato deciso nelle prossime ore. Tutto dipende da stasera.

Andò verso la palestra, si mise pantaloni e maglietta da allenamento e corse per quaranta minuti. Poi si fece una doccia e indossò il suo vestito aderente asimmetrico. Aveva le guance arrossate per l’allenamento, quindi non ebbe bisogno di molto trucco: giusto un pelo di mascara e un lucidalabbra scuro. I suoi capelli facevano di testa loro come al solito, ma Mia lisciò le onde ribelli con dell’olio lucidante, si infilò le scarpe con i tacchi e si voltò per assicurarsi di essere presentabile. L’ultimo tocco era una collana che Mark le aveva regalato a Natale: un pendente d’oro Penn State.

Quando uscì, scoprì che stava piovigginando. Sollevata nel vedere la macchina di Mark che l’aspettava, corse sotto le gocce in direzione della berlina BMW. La portiera si aprì e lei si infilò dentro, prendendo posto sul sedile del passeggero. Mark era schiacciato al posto di guida, intento. Mia si chinò verso di lui per baciarlo, ma lui le sorrise e tese un dito per fermarla.

“Solo un secondo,” le disse, piegandosi in avanti. “Le basi sono cariche. Torres alla battuta.”

Mia aveva conosciuto il suo fidanzato all’Università di Penn State, dove giocava nella squadra di baseball, ed era ancora ossessionato da quello sport. Al tempo, una volta alla settimana, Mark faceva il turno di notte alla stazione radio della scuola. Quando Mia arrivava per presentare lo spettacolo della mattina, Mark era sempre arruffato e teso per aver bevuto troppe Red Bull. Se ne stava nei paraggi mentre lei leggeva le notizie, cercando di farla ridere dentro alla cabina. Lei si sforzava di restare seria, cosa molto difficile, perché Mark faceva davvero lo scemo.

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