Lacey si aggrappò al bancone per non perdere l’equilibrio. Sentiva lo stomaco attorcigliarsi. Ora si sentiva davvero come la donna più cretina al mondo. Non c’era da meravigliarsi che David l’avesse lasciata. Era davvero incasinata e disorganizzata. Un insulto agli esseri umani. Eccola qui, a fare finta di poter essere un’adulta indipendente all’estero, quando in realtà non riusciva neanche a trovarsi una camera d’albergo.
In quel momento Lacey scorse una persona con la coda dell’occhio. Si voltò e vide un uomo che avanzava verso di lei. Era sulla sessantina e indossava una camicia a quadri infilata nei jeans, occhiali da sole tirati indietro sulla testa calva e un portacellulare alla cintura.
“Ho sentito che stai cercando un posto dove stare?” le chiese.
Lacey stava per dire di no – poteva anche essere disperata, ma concordare un pernottamento con un uomo che aveva il doppio dei suoi anni e che l’aveva avvicinata in un bar era un po’ troppo da Naomi per i suoi gusti. Poi l’uomo chiarì la cosa: “Perché affitto case per le vacanze.”
“Oh?” rispose Lacey, sorpresa.
L’uomo annuì e le mostrò un piccolo biglietto da visita che tirò fuori dalla tasca dei jeans. Lacey lo osservò attentamente.
Le accoglienti, rustiche ed eleganti case vacanza di Ivan Parry. L’ideale per tutta la famiglia.
“Sono al completo, come ha detto Brenda,” continuò Ivan accennando alla barista. “A parte una casa che ho appena arraffato all’asta. A dire il vero non è ancora pronta per essere affittata, ma posso fartela vedere se sei davvero a piedi. Magari te la offro a prezzo scontato, dato che è un po’ una discarica? Giusto nell’attesa che gli hotel tornino disponibili.”
Lacey si sentì pervadere dal sollievo. Il biglietto da visita sembrava vero, e Ivan non le aveva fatto scattare nessuna sirena d’allarme nella testa. La fortuna stava virando dalla sua parte! Si sentiva così sollevata che avrebbe potuto stampargli un bacio sulla testa pelata!
“Lei è il mio salvatore!” gli disse, riuscendo a contenersi.
Ivan arrossì. “Magari aspetta di vederla, prima di giudicare.”
Lacey ridacchiò. “Onestamente, quanto male può essere?”
*
Lacey sembrava una donna con le doglie da parto mentre si arrampicava lungo il lato della scogliera accanto a Ivan.
“È troppo ripido?” le chiese con tono preoccupato. “Avrei dovuto dirti che era sulla scogliera.”
“Nessun problema,” disse Lacey ansimando. “Adoro… le vedute… sul mare.”
Per tutta la camminata fino a lì, Ivan si era dimostrato l’esatto contrario dello scafato uomo d’affari, ricordando a Lacey lo sconto promesso (al di là del fatto che non avevano ancora discusso il prezzo) e dicendole ripetutamente di non coltivare troppe speranze. Ora, con le gambe che le facevano male per la scarpinata, Lacey stava iniziando a chiedersi se non avesse tutto sommato ragione a svilire così quel posto.
Questo fino a che la casa non apparve sul cocuzzolo della collina. Un edificio di pietra si stagliava contro il rosa ormai quasi del tutto sfumato del cielo. Lacey sussultò sonoramente.
“È quella?” disse senza fiato.
“È lei,” rispose Ivan.
Una forza che le arrivava dal nulla improvvisamente le diede uno slancio di energia, e Lacey percorse di gran carriera l’ultimo tratto di salita. Ogni passo che la portava più vicina a quell’attraente edificio le rivelava una caratteristica meravigliosa dopo l’altra: l’affascinante facciata di pietra, il tetto in ardesia, la pianta di rosa rampicante avvolta attorno alle colonne della veranda, l’antica e spessa porta ad arco che sembrava uscita da una fiaba. E a fare da contorno al tutto, c’era l’oceano luccicante e sconfinato.
Lacey era con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta quando si fermò davanti all’edificio. Un segnale in legno a bordo strada diceva: Crag Cottage.
Ivan la raggiunse, una lunga catenella portachiavi che gli tintinnava in mano mentre cercava quella giusta nel mazzo. Lacey si sentiva come una bambina davanti al furgoncino dei gelati, molleggiando sulle dita dei piedi, in impaziente attesa che l’erogatore della crema soft facesse il suo dovere.
“Non nutrire troppo le tue speranze,” le disse Ivan per l’ennesima volta, trovando finalmente la chiave – una grossa e di bronzo rugginoso, che sembrava poter aprire il castello di Raperonzolo – e girandola nella serratura per poi aprire finalmente la porta.
Lacey entrò allegramente nel cottage e fu colpita dall’improvvisa e potente sensazione di trovarsi a casa.
Il corridoio era a dir poco rustico, con assi di legno non trattato e carta da parati appariscente ma sbiadita. Al centro della scala che aveva alla sua destra c’era un lussuoso tappeto rosso con i bordi dorati, come se il precedente proprietario avesse pensato che quella fosse una casa maestosa e non un piccolo cottage. A sinistra c’era una porta di legno aperta che sembrava invitarla ad entrare.
“Come dicevo, è un po’ trasandata,” disse Ivan, mentre Lacey entrava in punta di piedi nella stanza.
Si trovò in un salotto. Tre pareti erano ricoperte di carta da parati, anch’essa sbiadita, a strisce verde menta e bianche, mentre la quarta aveva le pietre di costruzione a vista. Una grande finestra a sbalzo si affacciava sull’oceano, con una poltrona fatta apposta posizionata subito sotto. Un intero angolo era occupato da una stufa a legna con una lunga canna fumaria nera, un secchio argentato accanto, pieno di pezzi di legno. Una grande libreria, anch’essa in legno, copriva quasi interamente una delle pareti. Il set abbinato di divano, poltrona e poggiapiedi sembrava risalire agli anni Quaranta. Tutto aveva bisogno di una buona spolverata, ma per Lacey questo rendeva il posto ancora più perfetto.
Fece una mezza piroetta sul posto rivolgendosi a Ivan, che sembrava apprensivo mentre aspettava un suo commento.
“È adorabile,” gli disse.
L’espressione di Ivan si fece sorpresa (con un accenno di orgogliò, da quello che Lacey poté notare).
“Oh,” esclamò. “Che sollievo!”
Lacey non era capace di contenersi. Piena di entusiasmo, fece il giro del salotto, osservandone tutti i dettagli. Sull’adorno scaffale intagliato c’erano un paio di libri gialli, le pagine raggrinzite per l’età. Un salvadanaio in porcellana a forma di pecora e un orologio non più funzionante erano posati sulla seconda mensola in basso, e sulla base c’era una collezione di delicate teiere in ceramica. Era come l’avverarsi del sogno di un amante dell’antiquariato.
“Posso vedere il resto?” chiese Lacey, sentendosi il cuore gonfio di emozione.
“Come fossi a casa tua,” rispose Ivan. “Io scendo in cantina a sistemare riscaldamento e acqua.”
Percorsero il piccolo corridoio scuro. Ivan scomparve oltre la porta sotto alla scala, mentre Lacey continuò in cucina, il cuore che le batteva per la nervosa anticipazione.
Quando ebbe varcato la soglia della stanza, sussultò sonoramente.
La cucina sembrava venire da un museo dell’epoca vittoriana. C’era una cucina economica nera originale, pentole di rame che pendevano da ganci avvitati al soffitto e un grosso piano da macellaio al centro. Dalle finestre Lacey poté scorgere un ampio prato. Dall’altra parte dell’elegante porta finestra c’era un patio, che era stato arredato con un traballante set di tavolo e sedie. Lacey già si poteva vedere mentre sedeva là fuori, mangiando brioche fresche di pasticceria e bevendo caffè biologico peruviano comprato al negozio equo solidale.
Improvvisamente un forte colpo la risvegliò bruscamente dal suo sogno a occhi aperti. Veniva da un qualche punto sotto ai suoi piedi: aveva sentito addirittura vibrare le assi del pavimento.