Assassinio in villa - Грейс Фиона страница 4.

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“Se lo dice lei,” disse l’uomo con tono sommesso, immettendosi in strada.

“La super ospitalità britannica,” pensò lei.

*

Arrivarono a Wilfordshire due ore più tardi come promesso, per la bellezza di “duecento sterline e cinquanta, grazie.” Ma la tariffa onerosa – e il tassista per niente amichevole – divennero insignificanti nel momento in cui Lacey uscì dal veicolo e respirò profondamente la fresca aria marina. Aveva proprio lo stesso odore che ricordava.

Lacey aveva sempre considerato pazzesco il modo in cui odori e sapori potessero evocare dei ricordi così forti, e ora era proprio uno di quei casi. L’aria salmastra le fece nascere dentro un improvviso slancio di spensierato piacere, una sensazione che non aveva mai provato da quando suo padre se n’era andato. Fu tanto forte che quasi le girò la testa. L’ansia che aveva addosso per la reazione della sua famiglia al viaggio semplicemente si dissolse. Lacey si trovava proprio doveva aveva bisogno di essere.

Imboccò la via principale. Della pioggerellina che aveva circondato l’aeroporto di Heathrow qui non c’era traccia, e gli ultimi rimasugli di tramonto rivestivano ogni cosa di una luce dorata che appariva quasi magica. Era proprio come ricordava: due file parallele di antiche casette in pietra, costruite proprio al limitare dei marciapiedi in acciottolato, le vetrate sporgenti originali affacciate sulle strade. Nessuna delle facciate dei negozi era stata ristrutturata o modernizzata da quando era stata lì l’ultima volta. In effetti sembrava che tutti gli esercizi avessero l’insegna originale in legno che dondolava sopra alla porta, tanto che ogni negozio appariva unico. Si vendeva di tutto, dagli abiti per bambini alla merceria, dai prodotti da forno alle piccole caffetterie. C’era anche un negozio di caramelle in vecchio stile pieno di enormi vasi di vetro con dolciumi colorati, dove con un solo centesimo si poteva comprare anche un singolo pezzo.

Era aprile e la città era decorata con bandierine colorate per le imminenti festività pasquali. Gli addobbi erano tutti legati tra i negozi e si incrociavano sopra alla strada. E c’era un sacco di gente in giro – la folla del post-lavoro, pensò Lacey – con tante persone sedute ai pub sulle panche da pic-nic a bere birra, o fuori dalle caffetterie attorno a tavolini da bistrò a mangiare dei dolci. Sembravano tutti di buon umore e il loro chiacchiericcio allegro faceva da piacevole sottofondo, come una sorta di rumore bianco.

Provando la calmante certezza che ciò che stava facendo era la cosa giusta, Lacey tirò fuori il cellulare e scattò una foto della strada principale. Con la fascia argentata del mare che luccicava all’orizzonte e il cielo così meravigliosamente striato di rosa, sembrava davvero una cartolina. La condivise subito sul gruppo della sua famiglia: Doyle Girls. Il nome gliel’aveva dato Naomi, e a Lacey non era piaciuto per niente al tempo.

È proprio come me lo ricordavo, aggiunse sotto all’immagine perfetta che aveva realizzato.

Un secondo dopo si sentì dal telefono il suono di un messaggio in ingresso. Naomi aveva risposto.

Sembra che per sbaglio tu sia finita a Diagon Alley, sorellina.

Lacey sospirò. Era la tipica risposta sarcastica della sorella più giovane e avrebbe dovuto aspettarsela. Perché ovviamente Naomi non poteva limitarsi a essere felice per lei, o addirittura orgogliosa del modo in cui aveva preso in pugno la propria vita.

Hai usato un filtro? diceva la risposta di sua madre un attimo dopo.

Lacey ruotò gli occhi al cielo e mise via il telefono. Determinata a non permettere a nessuno di rovinarle l’umore, fece un profondo respiro calmante. La differenza nella qualità dell’aria, rispetto a quella inquinata del centro di New York che stava respirando solo quella mattina, era davvero sorprendente.

Continuò a percorrere la strada, il rumore dei tacchi che risuonava contro le pietre del selciato. Il prossimo obiettivo era quello di trovare una stanza d’hotel per il numero indeterminato di notti che aveva intenzione di trascorrere in quel posto. Si fermò fuori dal primo B&B che incontrò sulla sua strada, lo Shire, ma vide che il cartellino alla finestra era stato ruotato sulla scritta “Al completo”. Niente di cui preoccuparsi. La strada principale era lunga, e se la memoria non la ingannava, c’erano un sacco di altri posti dove provare.

Il B&B successivo – Da Laurel – era dipinto di rosa zucchero filato, e il cartello diceva “Tutto prenotato”. Parole diverse, medesimo concetto. Solo che questa volta un minimo senso di panico si insinuò in Lacey, dandole una piccola stretta al petto.

Lei si sforzò di cacciare via quella sensazione: era solo la pulce che i suoi parenti le avevano messo nell’orecchio. Non c’era nessun motivo di agitarsi. Molto presto avrebbe trovato un posto dove stare.

Proseguì. Tra una gioielleria e una libreria, il Seaside Hotel era al completo, e andando avanti dopo gli articoli da campeggio e l’estetista, anche il B&B da Carol non aveva posto. La storia proseguì in questo modo fino a che Lacey si trovò alla fine della strada.

Ora il panico si era davvero impadronito di lei. Come aveva potuto essere così sciocca da venire qui senza niente di pronto? La sua intera carriera si era basata sull’organizzazione di diverse cose, eppure adesso aveva clamorosamente fallito nel programmare la sua vacanza! Non aveva niente di suo qui, e ora le mancava pure una camera. Avrebbe dovuto tornare sui suoi passi, sborsare un altro ‘duecento sterline, grazie’ per il viaggio di ritorno in taxi fino a Heathrow e prendere il prossimo volo che la riportasse a casa? Non c’era da meravigliarsi che David avesse incluso una clausola di assistenza coniugale: non ci si poteva proprio fidare di lei con i soldi!

Mentre la mente di Lacey vorticava tra pensieri nevrotici, lei girò su se stessa, come se, guardando meglio la strada che aveva appena percorso, così dal nulla potesse saltare fuori un altro B&B. Solo così facendo però Lacey si rese conto che l’ultimo edificio d’angolo davanti al quale si trovava era una locanda. La Coach House.

Sentendosi una sciocca, Lacey si schiarì la gola e rimise insieme le idee, quindi entrò.

L’interno era in tipico stile pub: grandi tavoli di legno, una lavagna con il menù della sera scritto in corsivo con il gesso bianco, una macchinetta per il gioco d’azzardo nell’angolo con pacchiane luci lampeggianti. Lacey andò al bancone, dove c’erano mensole di vetro piene zeppe di bottiglie di vino e una serie di contenitori di vetro con alcolici di diversi colori che stavano appesi a testa in giù, pronti per essere spinati. Era tutto molto pittoresco. C’era anche un vecchio ubriaco appisolato al bancone, che usava le braccia come cuscino.

La barista era una ragazza slanciata con i capelli biondo chiaro raccolti in uno spettinato chignon in cima alla testa. Sembrava decisamente troppo giovane per poter lavorare in un locale. Lacey decise che la cosa dipendeva dall’età più bassa a cui era permesso il consumo di alcolici in Inghilterra, piuttosto che dal fatto che più lei invecchiava e più gli altri le sembravano avere visi da bambino.

“Cosa desidera?” chiese la ragazza.

“Una stanza,” disse Lacey. “E un bicchiere di prosecco.”

Aveva voglia di festeggiare.

Ma la giovane scosse la testa. “Siamo al completo per Pasqua.” Parlava allargando tanto la bocca che le si vedeva la gomma americana che stava masticando. “Tutto il paese è pieno. Sono le vacanze scolastiche e c’è un sacco di gente a cui piace portare i bambini a Wilfordshire. Non ci sarà niente per almeno quindici giorni.” Fece una pausa. “Allora va bene solo il prosecco?”

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