“Lo stesso,” disse, incrociando le braccia, “dovrai farlo registrare dalla polizia, no? Farlo inserire nel database delle armi da fuoco.”
Sentendo parlare di polizia, nella mente di Lacey apparve un’immagine del volto impassibile del sovrintendente Karl Turner, seguita immediatamente dal volto della sua stoica collega, la detective Beth Lewis. Aveva incontrato quei due tante di quelle volte che le sarebbero potute bastare per una vita.
“A dire il vero no,” spiegò a Gina. “È un pezzo di antiquariato, e non è funzionante. Questo significa che è classificato come oggetto ornamentale. Te l’ho detto: ho fatto tutti i miei compiti per casa!”
Ma Gina era irremovibile. Sembrava determinata a trovare qualcosa di irregolare in materia.
“Non funzionante?” ripeté. “Come puoi saperlo per certo? Pensavo avessi detto che le carte erano in ritardo.”
Lacey esitò. Qui Gina aveva ragione. Non aveva ancora visto i documenti, quindi non poteva essere sicura al cento per cento che il fucile non fosse funzionante. Ma non c’erano munizioni nella cassa, tanto per cominciare, e lei era piuttosto certa che Xavier non le avrebbe inviato per posta un’arma carica!
“Gina,” disse con voce ferma e tono definitivo, “ti assicuro che ho tutto sotto controllo.”
L’affermazione uscì con facilità dalla bocca di Lacey. Lei ancora non lo sapeva, ma erano parole di cui presto si sarebbe pentita.
Gina parve cedere un poco, anche se non sembrava felice di farlo. “Va bene. Se dici che è tutto in ordine, allora è tutto in ordine. Ma perché mai Xavier avrebbe dovuto mandarti un dannato fucile?”
“Questa è effettivamente una buona domanda,” disse Lacey, chiedendosi improvvisamente la stessa cosa.
Mise la mano nel pacco e trovò un pezzo di carta piegato sul fondo. Lo tirò fuori. La precedente insinuazione di Gina che Xavier avesse in mente più che un’amicizia con lei la rese immediatamente impacciata. Si schiarì la gola mentre apriva la lettera e la leggeva a voce alta.
“Cara Lacey,
come sai sono stato recentemente a Oxford…”
Si fermò, sentendo lo sguardo di Gina fisso su di lei, come se l’amica la stesse tacitamente giudicando. Sentendo le guance che si scaldavano, Lacey spostò il foglio in modo che Gina non potesse vedere.
“Come sai sono stato recentemente a Oxford a cercare i pezzi d’antiquariato del mio bis-bisnonno che erano andati perduti, e questo ha risvegliato la mia memoria. Tuo padre aveva un fucile simile in vendita nel suo negozio di New York. Ne abbiamo parlato. Mi aveva raccontato di aver fatto recentemente un viaggio di caccia in Inghilterra. Era una storia divertente. Mi aveva raccontato che non sapeva che fosse la stagione in cui la caccia era chiusa, allora, e che quindi poteva cacciare legalmente solo conigli. Ho fatto una ricerca sulle stagioni di caccia in Inghilterra, ed è venuto fuori che la caccia è chiusa in estate. Non ricordo che abbia parlato direttamente di Wilfordshire, ma ricordo che tu hai detto che era lì che andava in vacanza? Magari c’è un circolo di caccia locale? Magari l’hanno conosciuto?
Tuo Xavier
Lacey evitò lo sguardo indagatore di Gina mentre ripiegava la lettera. Non c’era bisogno che la donna parlasse perché Lacey sapesse quello che stava pensando: che Xavier avrebbe potuto raccontarle di questo ricordo in un messaggio, piuttosto che spedendole un fucile vero e proprio! Ma a Lacey non interessava veramente. Era più interessata al contenuto della lettera che a qualsiasi nozione romantica sottesa alle azioni di Xavier.
Quindi suo padre si divertiva ad andare a caccia durante le sue estati in Inghilterra, giusto? Questa era una cosa nuove per lei! A parte il fatto che non aveva ricordo che avesse mai posseduto un fucile, non poteva immaginarsi che sua madre fosse d’accordo. Era estremamente impressionabile. Si offendeva facilmente. Era per questo che andava in un paese diverso per farlo? Poteva essere un segreto che aveva tenuto completamente nascosto a sua madre, un piacere colpevole che si concedeva solo una volta all’anno. O forse era venuto fino in Inghilterra a sparare per la compagnia che aveva qui…
Lacey ricordava la bellissima donna nel negozio di antiquariato, quella che aveva aiutato Naomi dopo che la piccola aveva rotto il soprammobile; quella che avevano incontrato di nuovo per strada, quando il raggio di sole alle sue spalle aveva oscurato i suoi tratti. La donna con il delicato accento inglese e il profumo fragrante. Poteva essere stata lei a far avvicinare suo padre a quell’hobby? Era un passatempo che condividevano?
Lacey afferrò il cellulare per mandare un messaggio alla sua sorella più piccola, ma era riuscita solo a scrivere “Papà aveva fucili…” quando fu interrotta dal bau-bau-bauuuu di Chester che richiamò la sua attenzione. Il campanello della porta d’ingresso doveva aver tintinnato.
Ripose il fucile nella cassa, la chiuse accuratamente e si incamminò verso il negozio.
“Non puoi lasciare quell’affare qua in giro!” gridò Gina, passando di nuovo in un secondo da sospettosa a terrorizzata.
“Mettilo nella cassaforte allora, se ti preoccupa così tanto,” disse Lacey, ormai alla porta dello sgabuzzino.
“Io?” la sentì esclamare.
Anche se era ormai a metà del corridoio, Lacey si fermò e sospirò.
“Arrivo subito!” gridò verso il negozio, dove era diretta.
Mentre spostava il fucile, Gina continuò a fissare la cassa con sguardo cauto e fece un passo indietro quando le passò vicino, come se l’arma potesse esplodere da un secondo all’altro. Lacey riuscì a fare in modo di ruotare gli occhi al cielo solo quando fu certa che la donna non potesse vederla.
Portò il fucile alla grande cassaforte d’acciaio dove teneva in completa sicurezza tutti i suoi articoli più costosi e preziosi. Poi ritornò verso il corridoio, seguita da un’ammansita Gina. Almeno ora l’arma era nascosta e la donna aveva smesso di starnazzare.
Quando fu tornata nel salone principale del negozio, Lacey si aspettava di trovarvi un cliente intento a curiosare tra gli scaffali pieni zeppi di oggetti. Invece fu accolta dalla spiacevole vista di Taryn, la sua avversaria della boutique accanto.
Taryn ruotò sui suoi alti tacchi sentendo arrivare Lacey. I suoi capelli scuri e cortissimi erano acconciati con così tanto gel che neanche un singolo capello si muoveva. Nonostante la luminosa giornata di giugno, era vestita con il suo solito tubino scuro che metteva in risalto ogni angolo del suo scheletrico corpo da modaiola.
“Di solito lasci i tuoi clienti da soli e senza assistenza così a lungo?” le chiese la donna con tono sprezzante.
Accanto a sé Lacey sentì il sommesso ringhio di Chester. Il pastore inglese non aveva nessuna simpatia per l’altezzosa commessa. E neppure Gina, che borbottò a modo suo prima di andare ad occuparsi di alcune carte.
“Buongiorno, Taryn,” disse Lacey, sforzandosi di essere cordiale. “Come posso aiutarti in questa bellissima giornata?”
Taryn lanciò un’occhiataccia a Chester, poi incrociò le braccia e fisso il suo sguardo da falco su Lacey.
“Te l’ho già detto,” le disse. “Sono una cliente.”
“Tu?” le chiese Lacey, troppo velocemente per poter nascondere la sua incredulità.
“Sì, sul serio,” rispose Taryn con voce asciutta. “Mi serve una di quelle cose tipo lampadina di Edison. Hai capito quali. Quelle robe orrende con la lampadina sul piedestallo di bronzo? Le hai sempre in vetrina.”
Cominciò poi a guardarsi attorno. Con il naso rivolto all’insù, a Lacey faceva pensare a un uccello. Non poté fare a meno di essere sospettosa. Il negozio di Taryn era semplice e minimalista, con delle luci a soffitto che illuminavano in maniera asettica ogni cosa. A cosa le serviva una lampada rustica?