“Venerdì…” ripeté Lacey quasi ipnotizzata, mentre seguiva Suzy fuori dalla stanza e tornava con lei all’ascensore.
Le porte si chiusero dietro di loro e Suzy rivolse i suoi occhi speranzosi verso Lacey. “Allora? Cosa ne pensi?”
L’ascensore iniziò la sua discesa, facendole sobbalzare lo stomaco.
“Hai una bella chicca qui,” le disse, scegliendo con attenzione le proprie parole. “Ma il tempo a disposizione è limitatissimo. Questo lo sai, giusto?”
“È quello che ha detto lo scorbutico Greg,” rispose Suzy, le labbra che si corrucciavano e il tono più cupo. “Ha detto che organizzare uno spettacolo pirotecnico in tempo per venerdì sarebbe stato quasi impossibile.”
Lacey trattenne la lingua, anche se in realtà avrebbe voluto dire che trovare dei fuochi d’artificio sarebbe stato decisamente meno difficile che trasformare quattrocento metri quadri di ospizio in un padiglione di caccia vittoriano con l’arredamento del tempo. Se l’organizzatore di eventi pensava che i tempi fossero stretti, allora lei cosa avrebbe dovuto dire?
Le porte dell’ascensore si aprirono e le due uscirono nel corridoio principale al piano terra, con il suo pavimento in linoleum e una miriade di segnaletica e locandine mediche inchiodati alle pareti.
Lacey vide che Suzy li guardava come se li avesse notati solo adesso. Come se le fosse venuto in mente solo ora quanto lavoro sarebbe servito per trasformare quel posto. Per la prima volta le parve un po’ stravolta. La preoccupazione iniziava a intravedersi nei suoi occhi.
“Pensi che abbia fatto il passo più lungo della gamba?” le chiese mentre si dirigevano verso l’atrio.
L’istinto di Lacey le disse di non deluderla.
“Non intendo mentire,” spiegò con attenzione. “Ci vorrà un sacco di duro lavoro. Ma penso che sia possibile. Ho già un sacco di materiale che sarebbe appropriato per il tema. Ma ci sono alcune cose davvero grosse a cui devi dare priorità prima che possa avere inizio qualsiasi lavoro di ristrutturazione.”
“Tipo cosa?” le chiese Suzy, afferrando un pezzo di carta a caso, come se pendesse davvero da ogni parola da esperta che prendeva forma nella bocca di Lacey.
“I pavimenti,” iniziò Lacey, attraversando la stanza. “Questo linoleum deve sparire. I muri vanno ripuliti da quell’orribile carta da parati. Il soffitto spatolato. Solo l’apertura del caminetto richiederà una squadra intera…”
“Quindi, fondamentalmente eviscerare l’edificio e ricominciare da capo?” la interruppe Suzy, sollevando lo sguardo dai suoi appunti.
“Più o meno. E non prendere scorciatoie. Quando si parla di interni, la cosa importante sono i piccoli dettagli. Devi creare una fantasia. Non carta da parati finta con disegnati i pannelli di legno. Se decidi di avere i pannelli, falli veri. Il finto dà l’idea di economico. Quindi cercare i materiali veri è un’assoluta priorità.”
Suzy tornò a scribacchiare, annuendo per tutto il tempo mentre Lacey parlava. “Conosci un bravo tuttofare?”
“Suzy, hai bisogno di dieci tuttofare,” la corresse Lacey. “Almeno! E una dozzina di restauratori. Hai il budget per tutto questo?”
Suzy sollevò lo sguardo. “Sì, direi di sì. Cioè, non sarò in grado di pagare nessuno fino a che l’hotel non inizierà a portare soldi, il che forse mi complicherà la ricerca di persone disposte a fare il lavoro…”
La sua voce si interruppe e al contempo la ragazza rivolse a Lacey uno sguardo speranzoso, con occhioni da cucciolo implorante.
Lacey si sentiva ancora meno sicura di prima. Non essere pagata in anticipo sarebbe stato rischioso, dato che avrebbe dovuto procurare un sacco di merce che le sarebbe costata attorno alle diecimila sterline. E buttarsi su un progetto del genere quando il tempo a disposizione era così limitato, e quando aveva la sua attività da tenere a bada, poteva essere poco saggio. Ma d’altro canto il giro di perlustrazione le era piaciuto e poteva immaginarsi come le sarebbe sembrato il posto una volta riempito di tanti pezzi d’antiquariato. Si era anche divertita a dare mostra della sua competenza in ambito di design d’interni, combinata ora con i suoi nuovi talenti nella sfera delle antichità. Suzy le stava offrendo un’opportunità unica, e il B&B si sarebbe assolutamente rivelato un’attività redditizia in pochissimo tempo. Sì, sarebbe stato un grosso rischio finanziario, e un enorme uso di tempo ed energia per lei, ma quando le sarebbe mai ricapitata un’occasione come questa?
Non ancora del tutto pronta a dare a Suzy una risposta definitiva, Lacey disse: “Aspetta un attimo.”
Uscì e andò all’auto, da dove prese la cassa con il fucile, riportandola con sé dentro all’edificio.
“Il fucile!” disse Suzy raggiante, sorridendo quando lo vide. Sembrava entusiasta come la prima volta che Lacey gliel’aveva mostrato ieri al negozio. “Lo hai portato? Per me?”
“Già,” le rispose Lacey.
Lo posò sul bancone della reception e aprì i fermi.
Suzy allungò una mano e fece scorrere le dita lungo la canna. “Posso prenderlo in mano?”
“Certo,” disse Lacey.
Suzy lo tirò fuori dalla cassa e si mise in posa da tiratrice. Sembrava quasi una professionista, tanto che Lacey stava per chiederle se fosse mai stata a caccia. Ma prima che potesse chiederlo, si sentì il rumore delle porte automatiche che davano accesso all’atrio dall’esterno.
Lacey si voltò e vide un uomo con un abito scuro che passava attraverso le porte. Dietro di lui c’era una donna con un tailleur cremisi scuro con gonna, di taglio presidenziale. Lacey riconobbe la donna dalle assemblee cittadine. Era la consigliera Muir, la loro deputata locale.
Anche Suzy si girò, il fucile ancora in mano.
Vedendolo, l’uomo si fermò, allargando le braccia come a voler proteggere la consigliera Muir.
“Suzy,” starnazzò Lacey. “Metti giù il fucile!”
“Oh!” disse Suzy, le guance che avvampavano.
“È solo un pezzo d’antiquariato,” spiegò Lacey all’uomo della sicurezza, che stava ancora tenendo il braccio davanti alla consigliera Muir.
Alla fine, un po’ esitante, lo abbassò.
La donna si lisciò il vestito con le mani e si diede una ritoccatina ai capelli. “Grazie, Benson,” disse con tono rigido alla guardia del corpo che si era preparata a prendere un proiettile in corpo al posto suo. Sembrava più che altro imbarazzata.
“Scusa, Joanie,” disse Suzy, “se ti ho puntato un fucile in faccia.”
Joanie? pensò Lacey. Era un modo molto familiare per rivolgersi alla donna. Le due si conoscevano a livello personale?
La consigliera Muir non disse nulla. Il suo sguardo andò a Lacey. “Questa chi è?”
“Questa è la mia amica Lacey,” spiegò Suzy. “Si occuperà della ristrutturazione del B&B. Forse.”
Lacey fece un passo avanti e offrì la mano alla donna. Non l’aveva mai veramente vista da vicino, ma solo durante i convegni dal podio del municipio, o su occasionali volantini che venivano infilati insieme alla posta nella sua cassetta. Era sulla cinquantina, più vecchia che nella sua foto ufficiale: le rughe attorno agli occhi lo rendevano chiaro. Sembrava stanca e stressata e non prese la mano tesa di Lacey, dato che aveva il braccio occupato a tenere una grossa cartella di cartone.
“È la licenza per la mia attività?” squittì Suzy eccitata, quando si accorse del pacco.
“Sì,” disse la consigliera Muir frettolosamente, mettendole la cartella tra le mani. “Sono venuta qui proprio per consegnartela.”
“Joanie si è occupata per me di queste pratiche in maniera davvero rapida,” disse Suzy a Lacey. “Come si dice? Procedura accelerata?”
“Prioritaria,” la corresse la guardia del corpo, guadagnandosi un’occhiata piuttosto tagliente da parte della consigliera Muir.
Lacey si accigliò. Era piuttosto insolito che una consigliera portasse a mano una licenza. Quando Lacey aveva fatto domanda per la sua, c’erano voluti un sacco di moduli da compilare e lunghe attese in diversi uffici comunali prima che venisse chiamato il numero sul suo biglietto, come in fila dal macellaio. Si chiese come mai Suzy stesse ottenendo questo trattamento da tappeto rosso. E perché si stessero già dando del tu.