I cinque del salotto - Грейс Фиона страница 7.

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“Mi sa che dovrò dare una rispolverata alla mia competenza di storia locale,” disse Lacey, sentendosi vergognosamente ignorante.

“Oh, sono solo una nerd della storia, tutto qua,” concluse Suzy. “Adoro pensare al modo in cui vivevano le persone qualche generazione fa. Cioè, non è passato poi tanto tempo che la gente andava a caccia per procurarsi il cibo! Mi affascinano in particolare i Vittoriani.”

“I Vittoriani,” ripeté Lacey… “La caccia.” Schioccò le dita. “Ho un’idea!”

Qualcosa negli occhi sgranati e pieni di entusiasmo di Suzy aveva messo in moto gli ingranaggi impolverati nella parte abbandonata della mente di Lacey che si era occupata di interior design in passato. Portò Suzy nella sala d’aste e lungo il corridoio in direzione dell’ufficio.

Suzy guardava con curiosità mentre Lacey apriva la cassaforte e tirava fuori la cassa di legno contenente il fucile a pietra focaia. Fece scattare i fermi, sollevò il coperchio e rimosse delicatamente l’antica arma.

Suzy ebbe un piccolo sussulto.

“Ispirazione per il tuo B&B,” disse Lacey. “Padiglione di caccia vittoriano.”

“Io…” balbettò Suzy. “È…”

Lacey non riusciva a capire se Suzy fosse scioccata o meravigliata dall’idea.

“Mi piace un sacco,” disse la giovane. “È un’idea brillante! Già me lo vedo. Tartan blu. Velluto. Velluto a coste. Un caminetto aperto. Pannelli in legno.” I suoi occhi si erano fatti tondi per la meraviglia.

“Ecco, questa si chiama ispirazione,” le disse Lacey.

“Quanto viene?” chiese Suzy allegramente.

Lacey esitò. Non era sua intenzione vendere il regalo di Xavier. Lo aveva mostrato solo perché diventasse un trampolino di lancio creativo.

“Non è in vendita,” spiegò.

Il labbro inferiore di Suzy si bloccò, leggermente abbassato, per la delusione.

Poi Lacey ricordò le accuse di Gina riguardo a Xavier. Gina pensava che il fucile fosse troppo, e allora cos’avrebbe pensato Tom quando l’avesse visto? Forse la cosa migliore da fare era davvero di venderlo a Suzy.

“… Però…” aggiunse, decidendo all’istante. “Sto aspettando dei documenti.”

Il volto di Suzy si illuminò. “Quindi posso prenotarlo?”

“Certo che sì,” disse Lacey, ritornandole il sorriso.

“E tu?” chiese Suzy con un risolino. “Posso prenotare anche te? Come designer d’interni? Per favore!”

Lacey era titubante. Non si occupava più di design d’interni. Aveva abbandonato quella parte di sé a New York con Saskia. La sua concentrazione era sul comprare e vendere antiquariato, imparare come gestire le aste e costruirsi una sua attività. Non aveva tempo di lavorare per Suzy e allo stesso tempo portare avanti il suo negozio. Certo, poteva affidarlo a Gina, ma con l’aumento dei turisti, lasciarla a gestire il negozio da sola le sembrava una cosa poco saggia.

“Non ne sono sicura,” rispose. “Ho un sacco di cose da fare qui.”

Suzy le posò una mano sul braccio in segno di scusa. “Certo. Capisco. Che ne dici di passare solo di là e dare un’occhiata al posto domani? Vedere se magari ti va di seguire il progetto, dopo aver visto meglio di cosa si tratta?” Lacey si trovò ad annuire. Dopo tutto quello che era successo con Brooke, aveva pensato che sarebbe stata più sospettosa nell’avvicinarsi ad altre persone. Ma forse dopotutto era riuscita finalmente a guarire da tutta quell’odissea. Suzy aveva una di quelle personalità contagiose che con facilità ti risucchiavano con loro. Sarebbe diventata una donna d’affari eccellente.

Forse Carol faceva bene a preoccuparsi.

“Immagino non ci sia niente di male nel dare un’occhiata, giusto?” disse Lacey.

A quest’ora la settimana dopo, Lacey avrebbe ripensato a questo momento in retrospettiva, definendolo con un classico idioma: le ultime parole famose.

CAPITOLO TRE

Lacey guidava sul lungomare nella sua Volvo color champagne, i finestrini abbassati, riscaldata da un delicato sole di mezzogiorno. Era diretta verso la ex casa di riposo che presto sarebbe diventata un B&B nuovo di zecca, e portava sul sedile del passeggero una sorpresa per Suzy. Non Chester: il fido compagno stava pisolando soddisfatto, anche lui baciato dal sole, e poi Lacey era piuttosto certa che Suzy avesse paura dei cani. No, le stava portando il fucile a pietra focaia.

Lacey non era sicura di fare la cosa giusta separandosi da quell’oggetto. Quando lo aveva tenuto in mano, le era sembrato che le appartenesse, come se l’universo le stesse dicendo che se ne doveva prendere cura. Ma Gina le aveva piantato questa pulce nell’orecchio su Xavier e le sue intenzioni e lei non riusciva a vedere con chiarezza attraverso le nubi.

“Mi sa che ora è troppo tardi,” disse Lacey con un sorriso. Aveva già promesso di venderlo a Suzy, e sarebbe sembrato molto poco professionale da parte sua rimangiarsi la parola sulla vendita ora, e per di più con la mera giustificazione di una strana sensazione!

In quel momento Lacey passò davanti alla vecchia caffetteria di Brooke. Era tutto sprangato. La ristrutturazione che aveva fatto, trasformando il vecchio capanno per canoe in un locale chic, era andata del tutto in malora.

Il pensiero di Brooke innervosì Lacey, ed era assolutamente l’ultima cosa che aveva bisogno di aggiungere all’inquietudine che già provava al pensiero di separarsi dal fucile.

Premette più a fondo il pedale dell’acceleratore, sfilando via più velocemente, nella speranza di lasciarsi alle spalle quelle orribili sensazioni.

Presto raggiunse la parte orientale della città, l’area meno popolata e priva dei negozi e locali che si diramavano da nord a sud nella zona occidentale e nel centro. Questa era l’area che – secondo Carol – il sindaco Fletcher avrebbe modificato in peggio.

Lacey si accorse della svolta che portava alla ex Casa di Riposo Sunrise, e girò quindi a sinistra. La strada sconnessa piegava leggermente in salita ed era fiancheggiata da faggi così alti da formare una galleria che schermava il sole.

“Per niente minaccioso…” disse Lacey con sarcasmo. “Neanche un po’.”

Per fortuna gli alberi presto si diradarono e la luce del giorno rifece capolino.

Lacey scorse per la prima volta l’edificio arroccato sul versante della collina. La sua mente da designer d’interni si accese subito mettendosi a valutare l’aspetto esterno. Era una struttura piuttosto moderna, a tre piani, in mattoni rossi. Ipotizzò potesse risalire agli anni Trenta e che fosse stata rimodernata negli anni. Il vialetto di accesso e la zona del parcheggio erano in cemento grigio, funzionale ma inguardabile. Le finestre avevano spesse cornici in plastica bianca, buone per tenere a bada i ladri, ma un terribile pugno in un occhio dal punto di vista estetico. Ci sarebbero voluti dei decisi colpi di mano strategici per far assomigliare la facciata a un padiglione di caccia vittoriano.

Bene: questo era il problema che Lacey avrebbe dovuto risolvere. Non aveva ancora preso nessuna decisione riguardo all’offerta di Suzy. Voleva parlarne con Tom per chiedergli consiglio, ma aveva lavorato fino a tardi per completare un ordine dell’ultimo minuto di cupcake con glassa arcobaleno per lo spettacolo estivo annuale del gruppo giovani locale.

Aveva anche mandato un messaggio nel gruppo che condivideva con sua madre e la sua sorella più giovane, e aveva ricevuto in risposta un Non lavorare troppo dalla prima, e un Se ti paga bene, vai dall’altra.

Lacey parcheggiò l’auto, quindi si diresse verso i gradini che fiancheggiavano l’antiestetica rampa per le sedie a rotelle. L’accesso disabili – e probabilmente anche le misure interne – sarebbero stati un grosso vantaggio da sfruttare. Né il B&B di Carol né la Coach House Inn erano adatti per ospiti con disabilità e non erano dotati di accesso esterno dalla strada in ciottoli. Per di più disponevano di scale interne strette e non erano dotati di ascensore.

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